Noasca Towers: Gran Traversata
Le Torri di Noasca o Noasca Towers non cercatele su internet, perché è il nome che abbiamo dato Claudio Battezzati ed io alle Torri che si vedono in sequenza sopra il cimitero di Noasca, sul lato Sud, sopra il Rio Arianas, che termina la sua ripida corsa sul paravalanghe della strada per Ceresole.
Le Torri sembrano non finire mai, la loro misteriosa storia è riemersa dal buio con le nostre recenti ricerche, sin dai primi frequentatori, Ugo Manera, Isidoro Meneghin, Sandro Zuccon e altri in anni più ravvicinati.
Io le avevo già notate alla fine degli anni ’70 con Gabriele Beuchod, ma rimasero un sogno per entrambi. Il proverbio dice che quando guardi l’orologio non è il tempo che passa, ma la tua vita che scorre e se vuoi qualcosa devi agire, non aspettare che sia troppo tardi, con Claudio abbiamo colto l’occasione di andarle a vedere da vicino.
Le Torri non compaiono in nessuna guida pubblicata, e l’ultima, la più alta, sul lato Ovest ha un blocco di granito di dimensioni gigantesche, sospeso come un montacarichi a fine corsa, il misterioso Ascensore.
Le Torri principali sono tre: La Prima Torre (Torre della Pompa) 6 tiri e circa 200 metri di sviluppo. La Seconda Torre (Torre Fantasma ) 3 tiri e 80 metri di sviluppo e infine la Terza Torre (Torre dell’Ascensore), 3 tiri e circa 100 metri di sviluppo.
La Prima e la Seconda Torre sono divisi da un brevissimo tratto di congiunzione 5 minuti, la seconda e la terza Torre da un tratto a piedi di 15 minuti. Una gran cavalcata in uno dei posti più selvaggi e reconditi della bassa Valle dell’Orco. In totale 12 tiri per circa 380 metri di sviluppo, tutti tiri sono meritevoli, nessuno anonimo, alcuni eccezionali, da copertina.
L’avvicinamento era assai problematico, un enigma, ora grazie alla riscoperta di un antico sentiero e al nostro estenuante lavoro di pulizia per riportarlo alla luce (diversi giorni di lavoro) è breve ed agevole, in 35/40 minuti di comodo tracciato si arriva all’attacco della prima Torre (come andare alla base del Caporal).
La via è modulare, ovviamente, si può scendere in doppia dove si vuole, ma arrivare all’ultima lunghezza per appendersi alla Dulfer finale del misterioso Ascensore, dovrebbe essere uno stimolo irrefrenabile per qualsiasi appassionato di granito e di questa Valle. Una Valle che regala emozioni difficilmente ripetibili altrove, una grande avventura, seppur addomesticata, anche per i ripetitori.
Aprire una via in Valle dell’Orco e sperare che venga ripetuta è sempre un atto di presunzione, noi ne siamo consapevoli, qui ci sono alcune delle più belle vie di granito delle Alpi e la scelta è tanta. Man mano che salivamo i dubbi si sono trasformati in convinzione che questa via possa rientrare, a breve, tra gli itinerari più noti, con la caratteristica di essere in un luogo nuovo, da scoprire anche per i più assidui frequentatori.
L’ambiente è superbo e selvaggio e la vista è costante sulle grandi montagne come il Ciarforon, celebrato da Renato Chabod o il Courmaon con lo spigolo Gervasutti . La sensazione, pur essendo in bassa quota, è quella di essere su una vera cresta di montagna, la nostra piccola Peuterey.
La grande e crescente frequentazione di Noasca Diamond, aperta da noi due anni fa, sicuramente ci ha confortati e spinti in questa nuova avventura. Va considerato che Noasca Diamond è stata attrezzata e pensata volutamente come una Entry Level sul granito della Valle Orco, accessibile anche ai meno esperti.
La Gran Traversata delle Noasca Towers richiede un impegno superiore e può rappresentare il passo successivo, senza tuttavia avere mai passi scabrosi per chi ha un livello adeguato e sa utilizzare le protezioni veloci. In ogni caso la lunghezza di 12 tiri non è da sottovalutare. Bisogna affrontare la salita con lo spirito di una gran course, essere organizzati con il materiale, che può essere più o meno abbondante a secondo del proprio livello e soprattutto non perdere tempo, altrimenti non si arriva in giornata a sedersi sul tetto dell’Ascensore.
Non è da escludere, per chi è lento o meglio se la vuol godere, di programmare volutamente un bivacco e passare una notte in cima ad una Torre o nella stalla della baita diroccata sopra la seconda Torre. Una splendida occasione per farsi catturare dalla bellezza della natura, di una notte stellata e assaporare il fascino della lentezza.
Esplorazione, avventura, lentezza, a chi interessano ancora? Ormai solo il grado, la difficoltà, la velocità sembrano guidare le scelte degli scalatori.
Noi alle Noasca Towers ci abbiamo creduto, come sempre solo i ripetitori e il tempo diranno se abbiamo fatto qualcosa di valido. Il nostro auspicio, se vorrete dare una chance a questa via, è che vi facciate rapire e respiriate la bellezza selvaggia di questi posti.
L’’aspetto tecnico per noi è assolutamente irrilevante, ma per serietà, come insegna il mio amico Rolly (Rolando Larcher), mannaggia a lui (!), i tiri vanno liberati dagli apritori e non è stata cosa facile, specie quando arrivi all’undicesimo e devi conservare lucidità di valutazione.
Per puntiglio li abbiamo portati a casa tutti, può darsi che l’enorme stanchezza accumulata per i lavori di apertura, ci abbia portato a sopravvalutare qualche lunghezza, ma nulla di grave, da sempre i ripetitori (certo più forti di noi) avranno la parola.
Noi siamo tenuti a dare una valutazione dei gradi, ma non vorremmo che diventasse il punto centrale . L’arrampicata dovrebbe essere un mezzo per estraniarsi dalle frustrazioni quotidiane, per farci entrare in un prezioso stato di trance e avvicinarci al nostro io. Un infinito percorso di conoscenza. Ridurre tutto a una discussione se un 6c è un 6c+ sui Social ci sembra assolutamente fuori luogo e una occasione mancata, specie in una avventura come questa.
Siamo riusciti a difendere la Valle dell’Orco dall’uso indiscriminato degli spit, un passo avanti sarebbe, almeno in questi luoghi così evocativi, riappropriarci del valore primordiale della scalata, dell’avventura anche interiore. Non è un caso che la filosofia il Nuovo Mattino, che nulla aveva a che fare con la ricerca delle difficoltà, sia nata in questo contesto naturale.
Nessuno vuole demonizzare la ricerca del grado, siamo noi i primi a farci prendere dal gioco con gli amici in falesia, ma il grado non esprime tutti i significati di una scalata. Un raggio di luce sulla parete, l’odore del granito, del quarzo, sulle mani logore, la Valle sottostante, sono sensazioni primordiali che ci ubriacano e che ci fanno tornare dopo 50 anni a ricercare le stesse emozioni.
Quando si viene a sapere che stiamo aprendo una nuova via, la prima domanda che ci fanno è “che gradi ci sono”? L’aspetto estetico, naturale, sembra secondario…e anche solo dov’è!
Negli anni settanta la grande rivoluzione dell’arrampicata in Europa è iniziata nelle Gole del Verdon, in Valle dell’Orco, in Valle di Mello. Sono scenari naturali unici, che hanno influito in modo determinante a modellare le visioni dei giovani di allora. Tra i miti c’erano gli scalatori Californiani, che a loro volta vivevano nella straordinaria Yosemite Valley, sito sacro già ai nativi americani.
Quest’anno è uscito uno splendido libro su Gary Hemming, “Se non dovessi tornare” scritto da Enrico Camanni. Hemming, americano, un simbolo Beatnik (appartenete alla generazione Beat) è stato uno scalatore straordinario, basta pensare alla Diretta Americana al Dru o alla via sull’Aiguille du Fou sul Monte Bianco, ma il suo fascino è nel suo approccio alla scalata. Del passaggio su una via, diceva, dovrebbero rimanere solo i ricordi e le fotografie. Quanto siamo ormai distanti da questa visione? Dovremmo fare tutti un esame di coscienza e forse un passo indietro. Siamo ormai tutti viziati, vogliamo, soste, sicurezza, ma almeno non dimentichiamo di guardarci intorno e vivere un’esperienza a 360 gradi, con tutti i sensi attivi.
Non siete nel metaverso, respirate e raccoglietevi un attimo in silenzio a pensate che la gente su queste impervie balze rocciose, dove si trovano le Torri di Noasca, fino a due generazioni fa ci viveva.
Sotto la Terza Torre, sembra impossibile, ma c’è una baita diroccata, quegli antichi abitanti erano i veri eroi. Ci piacerebbe che la Gran Traversata non fosse il pretesto per una prestazione sportiva, per aggiungere una tacca alla propria pistola, ma un viaggio nella natura , entusiasmante come solo posti unici e preziosi come la Valle dell’Orco sanno regalare. Siamo fortunati, regalatevi un sogno, così come abbiamo fatto noi.
Andrea Giorda
Alpine Club UK – Caai
Per fare un test e avere un feedback autorevole io e Claudio abbiamo proposto a Filippo Ghilardini, giovane di talento e molto attivo in Valle Orco di scalarla e queste è il suo commento:
“La Valle dell’Orco, che posso considerare il mio banco di scuola, dove ho imparato a scalare e dove ho provato ad aprire dei nuovi itinerari, in vari modi, vede ora nascere una nuova “opera”.
Andrea e Claudio mi hanno dato la possibilità di ripeterla in anteprima, insieme a Susanna Tubiana: è da un po’di anni che frequento meno la valle, l’aria che tira è meno piacevole che un tempo, le vie che potevo fare più o meno le ho fatte. Questa è stata un’occasione unica di tornare a quei giorni in cui tutto era nuovo e da scoprire.
La loro nuova via è una creatura concepita e sudata per gli altri, per voi, frutto di profonda ricerca e immane fatica, da gustare tiro per tiro, senza pensare troppo ai gradi, ai friend, ai chiodi. Tiro per tiro, ciascuno con il suo nome, proprio come i tiri che vale la pena ripetere. Il tracciato è sostenuto, ma non è pericoloso o estremo, andateci e divertitevi, una serie fino al 4 (utile negli ultimi metri), e doppi i piccoli-medi per il meraviglioso tiro della Pompa. La valle dell’orco cambia, ma il suo spirito resta, buon viaggio.”
Filippo Ghilardini (INA)