Terrazza San Lorenzo
Tradurre in realtà, replicabile, un pensiero.
…Voglio un pensiero superficiale
Che renda la pelle splendida…
Era il Giugno 2020 quando inaugurammo la nostra via, è stato necessario un lungo anno sabbatico per ricaricare corpo e mente dopo le fatiche di “Grand Hotel Piantonetto”, per fortuna omaggiata nei mesi seguenti da diverse ripetizioni di cordate molto forti: un anno dopo, era giunto il momento di tornare sul luogo del delitto.
La premessa, imprescindibile, era una: basta scavare terra e pulire fessure in punta ad una montagna, niente più avvicinamenti eterni con zaini pesantissimi, categorico. Serve una parete comoda, verticale e possibilmente già pulita.
Un bel sogno, se anche esistesse vi sarebbe un ulteriore problematica: con il trapano, dal basso, io ho aperto raramente, e solo su roccia che presentava buchi o tacche aggancianti, mai sul liscio granito delle nostre valli. Sandro non era messo meglio nonostante le tantissime vie aperte, piantò, infatti il suo unico spit nel 1986, a mano, in una sosta alla parete del Cunì nel Vallone di Forzo, <<se no quella volta rischiavo davvero di lasciarci la pelle.>>. É la via che supera il grande diedro strapiombante della parte sommitale, evitata anche dalle vie di Motto e soci, tanto appare strapiombante e repulsiva, ma questa è un’altra storia.
L’uomo della provvidenza, quindi, ed ancora una volta, è Sandro Zuccon.
<<Dai, vieni a vedere, ci sono un sacco di possibilità, poi in valle c’è fermento: guarda che finisce che ce la chiodano, e chissà come va a finire con le fessure.>>
In effetti nel basso Vallone di Piantonetto c’era movimento: l’amico Paolo Seimandi ed il fortissimo local Emanuel Bracco stavano rimettendo a nuovo la bella falesia di Bugni, mentre alcuni ragazzi del posto, con un gran lavoro, stavano rivisitando la bella struttura della Torre di Rocci in chiave parzialmente “sportiva”.
Gli inossidabili Gianni Predan e Rinaldo Sartore stavano aprendo su un bel pilastro appena prima dei pianori sotto la diga, una struttura che anche Sandro aveva adocchiato. Più giù, erano stranamente apparsi degli spit di progressione sul fianco di una cascata di ghiaccio dimenticata da decenni.
Annuso quindi il “pericolo” e decido di andare a vedere la nuova parete prima che sia troppo tardi: -vado solo a dare un’occhiata, di certo non mi farò trascinare in una “Grand Hotel Piantonetto 2 la vendetta”-, categorico.
La parete è ampia, ben esposta, della giusta lunghezza, presenta una roccia meravigliosa, ma soprattutto: è comodissima. Parcheggiata l’auto, la bruma mattutina regala uno scorcio commovente sull'abitato di San Lorenzo e l’imbocco del Vallone. Calcare l’erba bassa del sentiero, delimitato da pietre a secco depositate da pastori e coltivatori di chissà quale secolo, a guardia dei loro preziosi pascoli, è un'epifania meravigliosa. Durante l’avvicinamento, -ebbene si, questa volta sono solo 10 minuti su un vero sentiero-, troviamo rami tagliati e segni di passaggio: <<ecco vedi, qualcuno l’ha vista ed è venuto ad aprire>>. La parete era invece vergine, e la nostra avventura poteva avere inizio.
Apriamo le danze con una prima via completamente trad, cui successivamente aggiungeremo le soste (quante lotte a proposito con Sandro!), ma ciò che più mi attraeva era il muro rosso che diventerà il primo tiro di “Manifesto”, -Grande l'impossibile, Osare è la confusione-, sarà 7b, o la va o la spacca, provo. Il mio primo tiro di muro, dal basso su granito, trapano all’imbrago, chiodi lontani e passaggi bellissimi, basta una volta e ne sei dipendente.
Si rivelerà poi “solo” 6c, 7 spit, 35 metri di bellezza. E di paura! A grande richiesta, abbiamo aggiunto uno spit di servizio alla base, non ci dormirò la notte.
L’esplorazione è proseguita inesorabile, con varie e rocambolesche peripezie, tacche che si rompono sotto i cliff, cadute sulla punta del trapano, compagni che in calata ti saltano sulla testa e si fermano 10 metri sotto. Il rifiuto categorico a farmi trascinare nel solito infinito, estenuante e costoso progetto svanì con buona approssimazione quando piantai il primo tassello. Quello che doveva essere il nostro piccolo laboratorio ora presenta 28 tiri, suddivisi in 7 vie dalle 2 alle 4 lunghezze, più 6 monotiri. Il tutto trad e spit, in serenissima convivenza.
Sono stati lasciati “da liberare”, un po’ per necessità e un po’ per virtù, un tiro trad, le fessure sorelle di Zuccone e Zucchino, ed uno sport, The Wall of Early Morning Light. Piccole gemme da scoprire per chi vorrà far visita alla parete. Rispettivamente sulle difficoltà del 7 e dell’8 abbondante.
Ci siamo dati poche regole, ma per noi imprescindibili: le vie si aprono dal basso, vietato chiodare sulle staffe (spoiler, non ci siamo sempre riusciti), spit ben distesi ma non pericolosi, dove possibile ci si protegge con friend e nut, usiamo materiali inox di qualità e soprattutto, vista la comodità e l’impegno delle vie, queste dovranno essere perfettamente pulite.
Dulcis in fundo, per meglio simulare una vera e mitica apertura di montagna (ma alla quota dei peggiori muschi e licheni), nessuna via è stata “preparata”, ovvero pulita o chiodata preventivamente, approccio che ha ovviamente influenzato linee e chiodature.
Le posizioni delle protezioni non sono state modificate a posteriori, tranne nel caso di un blocco dubbio sul tetto di “Voglio una pelle splendida”. Non sono neanche stati allestiti “cantieri”, niente corde fisse penzolanti se non per brevissimo tempo, questo per mantenere un giusto low profile, trovandoci all’interno del Parco del Gran Paradiso. Non sono stati fatti bolli di vernice o scritte esteticamente impattanti. Il sentiero non è stato snaturato, e forse anche grazie al nostro approccio, l’accesso alle vie è stato ripulito dalle foglie e dai rami dai pastori locali per loro iniziativa. Un aiuto insperato e un bel segnale di collaborazione e rispetto reciproco con chi di queste terre ci vive.
Potremmo apparire come dei pazzi, e probabilmente lo siamo. La parete, il cui nome ormai possiamo svelare, Terrazza San Lorenzo, è in qualche modo una dependance della vicina “Grand Hotel Piantonetto”. Ne è un’appendice, un’evoluzione, di sicuro lo è stata per noi. Più comoda e varia, è una “falesia di vie”, dove poter scalare su bella roccia, un buon range di difficoltà e stili, con i rinvii e/o con i friend, ma sempre portandosi da casa un buon livello (attenzione alle valutazioni di rischio S e R).
Un po’ come quando all’imbocco del sentiero per l’Ancesieu c’era una freccia con scritto “Palestra”.
Ecco: l’Ancesieu, l’Aimonin, il Cubo, la Schiappa, il Cunì, sono queste il nostro ideale di parete, di vie, di chiodatura. L’approccio ed il rispetto per la salita, per la roccia e la montagna che a volte sembra un po’ sfuggire di mano. In piccolo, nella nostra modesta qualità di weekend warriors, ovviamente.
Nell’aprire le nostre vie abbiamo cercato di emulare, ma soprattutto di dipanare, di capire il Motto che scala su quei muri lisci con il trapano nella fondina del detersivo, recuperare l’approccio dei Sartore, dei Predan, lo spirito di quegli anni 80-90 ormai così lontani. Come mi disse una volta Maurizio Oviglia: tanti si definiscono apritori dal basso, ma molti bucano appesi ad un’altra protezione, il che è diverso.
Alla fine, mi chiedo se queste centinaia di ore di lavoro di pulizia, distribuite in un anno di lavori, tutti i soldi spesi ed il tempo tolto ad altro serviranno a qualcosa. Chi mai vorrà andare a scalare su una parete dove i chiodi sono spesso lontani e le vie neanche poi così difficili per il livello di oggi, ma neppure così facili. Non sono vie plaisir, e i gradi non credo siano da autostima.
Eppure, quando riesco a ripetere una via all’Ancesieu, torno a casa con una sensazione che nessun’altra parete mi da: ho arrampicato su di un’opera d’arte, ho scalato un pensiero e l’ho fatto mio. Ora è il momento di provare a trasmetterlo.
In conclusione, se anche solo un cordata percorrerà con soddisfazione queste vie, sarà un successo, sarà il più grande successo. Perché il germe dell’ideale è il virus più contagioso, basta un niente e ne sei dipendente.
Ps. Questa parete è anche una storia di persone, oltre che di granito. Oltre a Sandro Zuccon, maestro paziente ed insostituibile compagno di questa avventura, vorrei ringraziare Martina Mastria, che ci ha accompagnati con il solito amore per le nostre follie. Federico Picco e Lorenzo Turletti (anch’essi istruttori della Scuola Gervasutti), Sergio Arianos e Tatiana Khodyachikh, con cui abbiamo condiviso il piacere e l’esperienza dell’apertura. Manuel dei Tritoni Verticali, trad-esploratore attivissimo in val di Susa (vedi il progetto Trad “Cit District”), insieme a Simone prima cordata di ripetitori. Il mitico Fabrizio Ferrari, Elvio Balboni, Fabio Ventre, Mirko Vigorita, Riccardo Volpiano, Matteo e Susanna Tubiana, Emanuel Bracco, Giovanni Ravizza, Carlo Filippi e Rinaldo Sartore per essere venuti a ripetere le vie e confermare i gradi. Con Emanuel, in particolare, in una giornata di neve, pioggia e licheni, abbiamo (ha) chiodato la ciliegina sulla torta, “The Wall of Early Morning Light”, un meraviglioso monotiro che sa di California. Non so se riuscirò mai a liberarlo, ma già solo vedere il suo entusiasmo nel provarlo è stata per me una enorme gioia. Grazie.
Filippo Ghilardini
Scarica qui il topo della parete.