Idee di viaggio (low cost): Vallone di Noaschetta
Stanchi di spendere un intero weekend per fare la coda su di una via ai satelliti del Tacul? Impoveriti dalle spese di autostrada, tunnel e funivia per andare a scalare alle Aiguilles di Chamonix? Logorati dall’ansia di svegliarvi alle 4 al Torino e vedere attorno a voi solo nebbie delle più fitte? Ailefroide è noioso? Il calcare francese è bello, ma granito, fessure ed un rack di friend vi eccitano di più?
Ebbene, se anche voi come me siete giunti al 10 di agosto senza sapere dove andare a passare la vostra meritata ed agognata climbing holiday, esiste un posto dove potete trovare tutto ciò che cerchereste nelle location più blasonate, il costo sarà pressoché zero ed in più vi assicurerete un altro elemento, ormai piuttosto inconsueto, l’avventura! Signore e Signori: il Vallone di Noaschetta!
Nella foto: Il Vallone di Noaschetta visto dall'altro versante della Valle Orco, ben visibili le torri del Blan Giuir e la parete Sud del Monte Castello, oltre all'imponente massa del Gran Paradiso sulla sinistra. (foto: Martina Mastria)
Il fatto che si chiami “Vallone” ha un significato ben preciso, si tratta infatti della più ampia e profonda valle trasversale alla valle Orco, che dai 1065mt di Noasca arriva addirittura ai 4026mt del monte Roc (4000 non riconosciuto), a poca distanza dalla vetta del Gran Paradiso, unico quattromila interamente italiano.
Abbiamo detto Valle dell’Orco, si tratta di una delle valli piemontesi più famose per l’arrampicata, in particolare grazie alla sua storia legata agli anni ’70 ed al Nuovo Mattino, ma anche al grande entusiasmo e crescita che il movimento “Trad” sta osservando in questi ultimi anni, accresciuta grazie ai meeting organizzati a Ceresole e proprio Noasca dal CAAI in questi ultimi anni. La roccia è il favoloso gneiss occhiadino, il nostro “granito”, che così bene si presta alla posizione di protezioni mobili quanto alla scalata più o meno sportiva a spit sulle lisce placche costellate di quarzini.
Inquadrato a grandi linee geograficamente, il vallone va collocato anche sotto l’aspetto storico, senza voler tediare il lettore è però necessario fare menzione delle sue vicende, in quanto è sempre stata un’area rimasta in disparte, un po’ dimenticata, a dispetto della quantità eccezionale di roccia, e che roccia!
E’ da dire, come mi scrive Ugo Manera, che ho interpellato in quanto credo sia il massimo esperto della zona che io conosca, Noaschetta -nasconde bene i suoi tesori: se non entri con lunga marcia nel vallone non li scopri-. E niente è più vero, dal fondo valle è visibile solo l’enorme parete Sud del Monte Castello, articolatissima e complessa, essa è raggiungibile in un paio d’ore di buon passo da Balmarossa, tutte le altre pareti, che sono principalmente le altre facce di questo vero e proprio Castello, ovvero punta Phuc, lo Scudo e la parete Nord-Est, poi le Torri del Blanc Giuir e la cresta di Prosces hanno avvicinamenti almeno uguali o superiori, fino ad arrivare alle 5 ore abbondanti di quest’ultima. Tuttavia se vogliamo fare un paragone con il vicino bacino del Piantonetto, i tempi di avvicinamento sono del tutto paragonabili, se non minori (Prosces esclusi), rispetto alle più di 3 ore per il Becco Meridionale e le 2 e mezza del Vasoera, partendo dalla diga di Teleccio.
La storia racconta che i tesori di Noaschetta rimasero celati nelle fessure e nelle pieghe del vallone fino al 1971, quando quell’incredibile folletto ed inventore di Gian Carlo Grassi ne varcò la soglia, e tracciò la “Via dell’Esplorazione” alla Torre Rossa del Blanc Giuir.
Ricordiamo che in quegli anni, venivano aperte via come i “Tempi Moderni”(1972, Manera, Motti, Morello), il “Sole Nascente” (1973, Grassi , Kosterlitz, Motti) al Caporal, la “Cannabis”(1973, Galante, Grassi) e la “Fessura della Disperazione” al Sergent (1974, Bonelli, Galante, Lenzi). Oppure, qualche anno prima, la via Grassi-Re al Becco Meridionale della Tribolazione (1968).
Gli scalatori piemontesi stavano quindi scoprendo le strutture di bassa valle, ma ancora c’era un mare di salite incredibili da scovare sulle pareti delle montagne più alte, come nel bacino del Piantonetto o del Bianco.
Noaschetta rappresentava quindi una sorta di via di mezzo tra ciò che al tempo veniva percepito come “falesia”, ovvero i dirupi di Balma Fiorant (Caporal & co.) e le montagne vere e proprie.
Le formidabili fessure e l'incredibile roccia del Monte Castello. (foto: Martina Mastria)
E’ bello ricordare le parole di Gian Carlo Grassi, scritte anni dopo aver aperto la via al Blanc Giuir, e senza vedere uno sviluppo dell’arrampicata nella valle:
“Camminando per l’ampio vallone, i dirupati e grigi versanti settentrionali del Monte Castello e dei contrafforti circostanti lasciano indovinare l’immutabilità del tempo ed è facile immaginare la realtà esplorativa che tali problemi propongono. Territorio di malinconia contagiosa nello spirito, che, dimenticato per lungo tempo, ha conservato per l’uomo un magnifico patrimonio di gioco-arrampicata ancora tutto da sviluppare.
Ma per capire questo mondo occorre vivere le esperienze solo per se stessi, in quanto nonostante si possano realizzare dei problemi certamente molto tecnici e difficili, essi non potranno mai competere a livello di pura notorietà con altre montagne più famose dove molti credono l’avventura più completa, ma che in realtà è poi solo un poco più abbagliante.“
Vi fu quindi un lasso temporale molto ampio, prima che l’esplorazione della valle diventasse sistematica, forse quando le pareti tutt’attorno iniziarono ad apparire sature di itinerari. Bisogna aspettare gli anni ’80, quando Grassi, Manera, Meneghin, Giorda, Zuccon e compagni, in un clima di celata competizione tra loro, in circa quattro anni tracciarono in ottica classica vie su tutte le principali pareti. Erano anni in cui friend erano praticamente sconosciuti, e le possibilità di salita erano limitate alle zone chiodabili e libere dall’erba, che spesso intasa le belle fessure del Monte Castello, dove poter piazzare blocchetti ed excentric. Alcune vie, come Aldebaran, la Torre Nera e la via del Solstizio ai Prosces, rappresentarono un incredibile sforzo tecnico ed esplorativo. Tuttavia fu ben preso nuovamente oblio.
Quindici anni di silenzio, è il 1999 quando Caneparo, Pogliano e Bazzetta attaccano l’immane parete Sud del Castello per tracciare l’estetica Imago, con l’uso di spit: l’arrampicata è eccezionale e l’ingaggio psicologico a tratti notevole. E’ anche in questi anni che venne attrezzata la bella falesia Pian Sengio, posizionata in luogo idilliaco e dotata di roccia particolarissima, situata a pochi minuti dal Rifugio Noaschetta.
Tuttavia il vero uomo nuovo di Noaschetta è Adriano Trombetta, recentemente scomparso, che in ottica moderna attrezza attorno al 2005-2006 via magnifiche ed ingaggiate su tutte le facce del Monte Castello e sulla Torre Rossa del Blanc Giuir, con vari compagni tra i quali figura quasi sempre Fabrizio Ferrari. Inoltre insieme a Giorda riattrezza Aldebaran, tracciando quattro bei tiri sullo zoccolo d’accesso, posiziona soste a spit e radi ancoraggi di via. La sua opera magna è però la Nona Sinfonia, aperta con Michele Amadio nel 2008, l’ultima, la più dura ed ingaggiata, ad oggi ancora irripetuta.
La storia di Noaschetta non finisce qui, perché è l’anno scorso, nel 2016, che Andrea Giorda, con Mario Ogliengo e compagni, traccia “A volte Ritornano”, sulla parete Sud-Est del Castello, fino a quel momento inviolata, dando il nome di Punta Phuc alla vetta che imponente si affaccia sul Rifugio Noaschetta, realizzato negli anni ’90. E’ certo questa la via meno ingaggiata e più chiodata, probabilmente la più comoda con un accesso di un paio d’ore su comodo sentiero e può essere il ticket d’ingresso per nuovi avventori del vallone.
A sinistra: Andrea Giorda e Punta Phuc (foto: Filippo Ghilardini)
In conclusione, Noaschetta è davvero una valle piena di tesori, una destinazione ideale per chi nell’arrampicata cerca ancora una frazione di ignoto, un’avventura, una ricerca simile a quella dell’apritore, dell’esploratore. Certo è necessaria una condizione mentale diversa, non è il solito posto, non ci sono un mare di vie una a fianco dall’altra, relazionate nei minimi dettagli, ma c’è tutto quello che queste hanno perduto. La verità è che il vallone non sarà mai una location popolare, manterrà sempre un fascino discreto, un’aura temuta, a torto o ragione sono stati e saranno pochi i fortunati a coglierne i dolci frutti.
Andateci, davvero, è un posto che arricchisce il cuore, gli occhi e la mente.
A destra: Occhio alle nebbie, sulla via del ritorno.
“La creatività oggi è appunto la ricerca dell’ignoto, l’esplorazione fisica di territori, spazi, metri quadrati nuovi, vizio o virtù che si rifà a quel bisogno ancestrale dell’uomo. La parete della Cresta dei Prosces è stata appena conosciuta, su essa noi abbiamo vissuto una avventura moderna in parallelo con una dimensione storica di alpinismo ottocentesco, in quanto la storia alpinistica della zona si è fermata a tale epoca. Questo patrimonio di pareti ancora inesplorate si offre oggi a chi ne voglia cogliere l’essenza.”
Gian Carlo Grassi, 1982
Dove Dormire
“Innanzitutto non esistono rifugi ed è auspicabile che in futuro non si senta la necessità di costruirne, in quanto verrebbe ad essere mutata l’atmosfera di questo grandioso vallone dove pare che il tempo si sia arrestato. Umili casolari di sasso offrono ricoveri sufficienti anche se molto spartani. Poi bisogna camminare, occorrono alcune ore, in genere il più delle volte la marcia di avvicinamento è sinonimo di fatica; però risalendo il verde del vallone di Noaschetta, si avverte una certa differenza dalla solita scarpinata, è come intraprendere un bellissimo viaggio su per gli ampi tornanti della strada di caccia, ed ogni svolta della valle rivela ambienti cristallini, densi di vita. Profili di spigoli o torri aguzze che incidono la fantasia predispongono all’apprezzamento di qualsiasi forma naturale.
Si pernotta in una grangia posta nell’indescrivibile Piano della Bruna, un muretto di pietre serve da camino per accendere il fuoco, il giaciglio è un duro tavolato dal quale nelle ultime ore della notte si scopre guardando nel riquadro di una porta sgangherata l’apparire di Venere: la stella del mattino.”
Gian Carlo Grassi, 1982
Rifugio Noaschetta
In realtà un rifugio esiste, ed è bellissimo. I muri sanno di antico, è fornito di tutto ciò che vi può servire per dormire e per mangiare: acqua, gas, coperte e pentole compresi. Costruito nel 1951 dall’A.E.M., è stato ceduto al CAI di Rivarolo nel ‘94, è un ex edificio legato alla complessa rete idrica che collega le valli del Gran Paradiso. Si trova nei pressi di Pian Sengio e della falesia, raggiungibile in 45 minuti da Balmarossa. Passarci una serata vi donerà armonia e vi metterà in simbiosi con il vallone, oltre che avvicinarvi alle pareti per il giorno successivo. Normalmente è chiuso, le chiavi sono da chiedere a Sabrina al bar in piazza a Noasca o all’albergo La Cascata oltre il ponte, costo 5€ a persona, ben spesi.
A sinistra: Immagine storica del Rifugio Noaschetta, sullo sfondo le pareti del Monte Castello. (foto: cairivarolo.it)
Alpe Arculà
Qui non si dorme (dentro), ma è un altro posto stupendo, alle pendici della parete Nord – Est del Castello (da qui ancora 30 minuti di avvicinamento). E’ un buon posto per bivaccare, davanti al casotto del Guardaparco, a cui è buona norma chiedere il permesso. Circa 2 ore da Balmarossa. E niente fuochi, non siamo più negli anni ’70! (sigh!)
L'alba dopo un bivacco nel Vallone di Noaschetta.
Alpe la Bruna
Beh, di questo posto i più navigati mi raccontano storie e leggende incredibili, ma basta leggere le parole di Gian Carlo per farsi un’idea di che spettacolo rappresenta. L’alpeggio è in parte recentemente crollato: è comunque ancora possibile usarlo come ricovero per andare alla cresta di Prosces, che tuttavia è ancora parecchio lontana! Niente fuochi neanche qui, mi raccomando.
Bivacco Ivrea
Si trova nella biforcazione destra del vallone, quindi fuori strada per accedere ai Prosces, farebbe perdere almeno un’ora di tempo. E’ tuttavia un posto sicuro dove stare in caso di emergenza, oppure per accedere ad altre scalate della zona.
Albergo La Cascata di Noasca
Che dire di Sandro e Sabrina… andateci! Se nel vallone di Noachetta si va per entrare in simbiosi con la natura, la fatica, la roccia e se stessi, da loro tornerete volentieri nel mondo dei vizi capitali: una volta terminata l’avventura, tornerete in pace con il vostro stomaco tramite lardo, tomini, acciughe e chi più ne ha più ne metta. Superare il ponte dalla piazza in centro a Noasca, panini mitologici e tagliere del Re.
Recensioni dei Viaggiatori
Sergio Cerutti (INA)
Io, lui, lei, l’altra
Alle 6 di una mattina d’aprile al ritrovo in piazza Rebaudengo a Torino: Adriano, Andrea, Fabrizio ed io. La meta è la via “Io, Lui, Lei, L’altra” aperta da Adriano, Fabrizio e soci un anno prima, con lo scopo della prima libera di questo itinerario a detta di Adriano molto impegnativo ed anche “ingaggiato”.
Adriano ci guarda e impreca: ma come? Siete vestiti con stupide felpe nere, o rosse o marroni come i peggiori “barbacai” in circolazione, come facciamo a fare delle foto fighe per i giornali e i siti internet?
Noi tre ci guardiamo un po’ stupiti e poi ci mettiamo a ridere come dei matti, Adriano all’inizio non la prende bene e si arrabbia ma o poi di fronte all’evidenza non può che rassegnarsi… e si parte.
Le cordate sono Giorda - Trombetta e Cerutti - Ferrari.
Sopra: Sergio Cerutti sulla placca argentata di Io, lui, lei l'altra.
Dopo aver scalato lo zoccolo della parte lungo la via Titanic, aperte da Caneparo anni prima, arriviamo alla partenza della via, ci attende un muro impressionante di roccia perfetta, Fabrizio parte su questo tiro di 7a con obbligatorio severo e lo scala perfetto, mentre salgo da secondo mi rendo conto che la via non sarà davvero una passeggiata.
Il tiro dopo tocca a me, una placca argentata compattissima di granito grigio, il grado non è duro, sul 6b o 6b+ ma la chiodatura non consente voli, parto e dopo un po’ raggiungo lo spit, poi cercando gli spalmi migliori mi allontano sempre più da quell’unica protezione puntando ad un diedrino su in alto dovrò potrò forse, mettere un friend, mi sembra di essere un naufrago in mare che punta disperatamente allo scoglio della sua salvezza. La placca è sospesa sopra ad un tetto e la sensazione di vuoto sotto di me è totale, dopo aver messo due benedetti friend accoppiati nel diedrino arrivo in sosta felice di essere vivo e tutto intero.
I tiri dopo sono più duri ma non mortali, Adriano riesce a liberare il penultimo tiro, sul 7b circa e si commuove, le lacrime scorrono sul suo viso. Andrea invece riesce a fare un bel volo sull’ultimo tiro di 7a, anche questo con obbligatorio severo, e non si commuove per niente, si incazza, si lecca le ferite e in un attimo riparte ruggendo come un leone e arriva in punta. Poco dopo arriviamo in vetta anche io e Fabry, uno sguardo, un sorriso tra tutti e poi via con le doppie che in breve ci portano giù agli zaini.
Io, lui ecc. è una via bellissima, una delle perle del vallone, è impegnativa, come detto un po’ “ingaggiata” ma su roccia perfetta ed esposizione ideale al sole che permette di scalare quando sul Bianco o anche solo in Piantonetto le parete sono impiastrate dalla neve. Meriterebbe davvero maggior frequentazione da parte di cordate preparate.
Monte Castello, parete Sud:
Io, lui, lei, l’altra, 7B max, 6C obb., 350mt
A. Trombetta, F. Ferrari, L. Marraffa, E. Spreafico, giugno 2006.
Fabrizio Ferrari (CAAI)
Primo pomeriggio di un giorno di agosto 2004, io e Adriano siamo alla sosta 5 di quella che diventerà Amitrax. Opportunamente catechizzato dal Tromba su come si apre un tiro con il trapano (mai messo un fix in vita mia!), inizio il tiro con una "leggera"apprensione. I primi 15 metri non creano grossi problemi grazie ad una provvidenziale fessura. Ovviamente la pacchia finisce...il muro sovrastante è improteggibile; incitato dal Tromba parto senza esitazioni. Dopo 2 metri reali ed almeno 8 percepiti dall'ultimo friend,urge mettere un fix. Impiantato su due tacche non riesco a scaricare il peso sui piedi,in poche parole sono nella m... Prima che si acciaino le dita,posiziono in una ruga un friend 0,1 che apparentemente regge solo se stesso,mi appendo con cautela: miracolo regge!! Prendo il trapano ed appena inizio a bucare la roccia,vengo sparato 5 metri sotto come un tappo di champagne con il trapano che continua a perforare l'aria!!
Adriano, con calma olimpica, mi fa notare che è meglio staccare le dita dall'impugnatura per non consumare le batterie, acc.. è vero! Mi riprendo dallo shock e riparto con più decisione. Dopo un'ora reale e quattro percepite,tra insulti,imprecazioni e 4 fix storti approdo finalmente sulla cengia, futura sosta 6. All'arrivo di Adriano in sosta,queste rocce che non avevano visto esseri umani per milioni di anni,furono mute testimoni del nostro" acceso diverbio"sulle mie qualità di trapanatore. Terminata la sfuriata, resettiamo e ripartiamo per il tiro successivo,ma questa è un'altra storia.
Cosa dire delle vie del Monte Castello?
Ho aiutato Adriano Trombetta nell'apertura della maggior parte delle vie e le ho ripetute tutte (tranne Nona sinfonia: troppo dura!), alcune anche due o tre volte e mi sento in grado di consigliarle per la loro bellezza. Sono vie di gran classe ed esigenti , in un ambiente solitario e selvaggio.
Buone arrampicate!
Sopra a destra: La parete Nord - Est del Monte Castello.
PS: Per le relazioni dettagliate : Alp luglio/agosto 2007
Monte Castello, parete Nord – Est:
Twin towers, III, RS3, 6C obbl., 440mt
A. Trombetta, D. Caneparo, F. Ferrari, Agosto 2004
Amitrax, III, RS2+, 6b+ obbl., 380mt
A. Trombetta, L. Vecchio, F. Ferrari, Luglio 2004
Monte Castello, lo Scudo:
Arsenio Lupin, RS4, 6c obbl, 340mt.
A. Trombetta, A. Torretta con F. Ferrari, Settembre 2003 - 4/6/2004.
Ugo Manera (IA-CAAI)
Il primo a cacciare il naso a Noaschetta fu Gian Carlo Grassi, che nel 1971 tracciò una via senza pretese sulla Torre inferiore del Blanc Giuir. Allora eravamo tutti amici, non vi erano segreti tra di noi ma in un certo senso eravamo in concorrenza nel contenderci le primizie che, soprattutto nel Grampa si potevano cogliere ancora a piene mani. Il racconto di Gian Carlo del Blanc Giuir mi incuriosì e nel 1973 andai a "vedere" la Torre Superiore del Blanc Giuir tracciandovi una via niente affatto bella, non stesi neanche la relazione. Le torri mi avevano impressionato ma le linee belle sembravano ancora non percorribili. Stavamo aprendo le vie su Caporal e dintorni e non avevamo ancora metabolizzato del tutto che ogni linea sulle pareti granitiche poteva essere affrontata con possibilità di successo. Alle Torri ritornai in inverno ma fui respinto dal peggioramento del tempo, poi nel 1981 tracciai con Isidoro Meneghin una splendida via sullo spigolo della Torre Inferiore. Entusiasta del posto ritornai nel 1982 con Franco Ribetti e Laura Ferrero e fu la volta dello spigolo della Torre Superiore. Anche questa una via eccezionale che probabilmente non è mai stata ripetuta.
La via del Solstizio che noi tracciammo ai Prosces, per bellezza si colloca sicuramente tra le prime 5 delle 52 vie nuove che ho tracciato sulle cime del Gran Paradiso (non sono compre in questo elenco le vie sulle falesie tipo Caporal Ancesieu Parete delle Aquile ecc.). Questa via è meno difficile ma molto più bella di quella che abbiamo aperto Maurizio Oviglia ed io nel 1999. Anche questa via non so se e da chi è stata ripetuta.
Il vallone di Noaschetta meriterebbe più visite da parte degli scalatori, anche alla riscoperta in ottica moderna, di itinerari bellissimi che rimangono praticamente sconosciuti, ciò che noi abbiamo superato in artificiale oggi può essere superato in libera ed offrire avventure che le vie che compaiono abitualmente su Gulliver non offrono più.
Le torri del Blanc Giuir. (foto: S. Zuccon)
Torre Rossa del Blanc Giuir:
Via Manera Meneghin, TD+, 5b/A2, 250mt, via schiodata.
U. Manera, I. Meneghin, 20 giugno 1981
Torre Superiore del Blanc Giuir:
Via dello Spigolo Sud, TD, 5a/A2, 300mt, via schiodata.
L. Ferrero, U. Manera, F. Ribetti, 12 giugno 1982.
Cresta di Prosces:
Via del Solstizio, TD+, 5b/A1, via schiodata.
U. Manera, I. Meneghin, 21 giugno 1981.
Relazioni allegate al seguente link
Martina Mastria (IS)
“Incredibilie, non è vero? Eppure è sempre stata li!” Il mantra giordiano ci rimbomba nella testa per due giorni.
A fine giornata, dopo aver impiegato ore a ripulire dai licheni un solo tiro di una parete di 400 mt, avevamo le guance incipriate di terra e le narici piene di muschi. Ad attenderci alla fine dell’ultima doppia un mini vassoio di pasticcini, che Andrea aveva comprato il giorno prima e custodito con un vero senso di paternità.
“Incredibile, non è vero?” Si, Giorda, è vero. Un insegnamento attuale e azzeccato.
Abituati alle comodità, non vediamo l’avventura che ci chiama a due passi da casa. Facciamo le code sulle vie più famose e non notiamo la bellezza dei dettagli. Per me, il Vallone di Noaschetta è Il Dettaglio: vicino alle pareti più note pareti della valle Orco, ma notato da pochi. Una bellezza rara, che non a tutti può piacere, e come tutte le cose belle è delicato e incute timore. Come un vecchio signore di montagna, che non parla molto, ma le cui rughe e mani hanno molto da raccontare.
A Volte Ritornano, ultima nata, è probabilmente la meno ingaggiosa della valle, è attrezzata di tutto punto, con spit alle soste ed alcuni di progressione, è comunque necessario sapersi proteggere: in presenza di fessure non è stata forata la roccia. L’obbligatorio sostanzialmente non c’è, ma è consigliabile un livello generale medio, per potersi godere appieno l’intera lunghezza dell’itinerario, che non è breve. Andate a farla, non ve ne pentirete!
Punta Phuc:
A Volte Ritornano, 7a+ Max(6C/A0), 6b obb., 450mt
A. Giorda, M. Ogliengo, M. Amadio, F.Ghilardini, M. Mastria, Giugno 2015 – Luglio 2016.
Sopra: Martina Mastria durante l'apertura di "A Volte Ritornano". (foto: A. Giorda)
A destra: Filippo durante l'apertura di "A Volte Ritornano".
Massimo Bazzetta (IA – IAL)
Lunghe attese, il tempo fila via lento. Recupera il trapano, molla il trapano, cala la corda di servizio e aggancia gli spit, le soste preparate e quant'altro serve. In cordata da tre è meglio, ai due in sosta passa di più.
Patrizio è partito per un traverso oltre uno spigolo, non lo vediamo ma lo scorrimento della corda ci informa della progressione regolare, così come il rumore del trapano, più rassicurante che fastidioso. Ma poi la corda non scorre più e nulla pare accadere. Lontane imprecazioni, troppo lontane per pensare di chiederne la ragione, e allora in sosta scende il silenzio e ci si interroga sulla possibile natura del problema. Minuti lunghissimi, eterni, poi l'urlo liberatorio e il trapano canta la sosta.
Ora si va, curiosi di scoprire la natura di quel passo chiave, la causa di tanta tribolazione. Fino all'incredibile ed esilarante scoperta di quel cespuglio erboso strapiombante che preclude l'accesso alla cengia salvifica: non è stato facile imporsi in quel rodeo e cavalcarlo.
Da ciò l'idea di uno spezzone di corda da lasciare in loco per eludere un ingaggio arrampicatoriamente poco estetico.
Monte Castello, parete Sud:
Imago, ED+, 7A/A0, 6b+ obb, 350mt.
D. Caneparo, P. Pogliano, M. Bazzetta, agosto 1999.
Sopra: Martina e Filippo e Imago sullo sfondo. Che paura!
Adriano Trombetta
Mi piace ricordarlo, inserendo qui la descrizione che scrisse della via Aldebaran dopo la risistemazione, esagerato e unico, come solo lui.
Chi è Andrea Giorda?
Nel ’71 uno sbarbatello talentuoso comincia ad arrampicare sulle rocce del GranParadiso, alla fine del decennio, mentre i suoi contemporanei tirano chiodi, lui apre vie “dritte” prendendo laschi inauditi. All’inizio degli anni ’80 lui “Scala” e senza neanche rendersi conto delle difficoltà che supera! Nel 1982 apre quasi in giornata Aldebaran, non rendendosi conto di quale opera d’arte firma… prima che gli anni ’90 inizino viene ibernato!
Evo moderno.
Un sipario erboso cela agli occhi dei visitatori l’opera Giordiana: occorre riportarla alla luce!
E’ il “Fato” dunque che scongela Andrea, lo allena e lo invia a noi, gli dona un Makita ed una zappa, e la scultura risorge!
Via interamente in fessura, sono presenti tutti i tipi d’incastro; quindi attenzione alle gradazioni, si presterebbe ben di più la scala americana. Il grado d’ingaggio elevato è dovuto allo zoccolo.
Trombetta.
Monte Castello – Parete Nord - Est
Aldebaran 2005, III, RS2+, 6b Max, 6a obbl., 450mt.
A. Giorda, A. Trombetta, 2005. (originariamente A. Giorda – M. Ogliengo, 1982)
Filippo Ghilardini su Aldebaran. (foto: Sandro Zuccon)
Alessandro Zuccon (CAAI)
Alcune idee/riflessioni e segnalazioni
L'alto vallone di Noaschetta è certamente una delle zone più remote del Parco Nazionale del Gran Paradiso. L'estenuante lunghezza dei valloni, il considerevole dislivello, il solo Bivacco Ivrea come punto di appoggio ne scoraggiano la frequentazione. Ho avuto la fortuna di percorrere alcune volte le alte testate del valloni che col vistoso ritiro glaciale si trasformano in lunari distese di pietre e ripiani di sabbione. Un ambiente veramente unico, quì la presenza dell' uomo è davvero occasionale e nulle sono le tracce del suo passaggio. No orme, sentieri, bolli di vernice, nemmeno i rassicuranti ometti di pietre e per fortuna no cartacce e rimasugli vari. Un luogo intonso, potremmo dire rimasto com'era il giorno della "creazione"? Una preziosa rarità. L'auspicio quindi è che tale unicum rimanga tale, che chi avrà voglia di percorrere ed esplorare anche alpinisticamente queste montagne lo faccia rispettando questo angolo di wilderness non solo come ovvio curando di non lasciare in giro monnezza ma anche magari evitando soste a spit, calate sulle vie e tutte quelle forme di infrastrutturazione delle pareti che certo sono comode, sicure, garantiscono il successo sociale delle vie ma eliminando qualunque incertezza eliminano anche il poco spazio rimasto per un pizzico di avventura che poi vuol dire la possibilità di sbagliare, anzi la libertà di sbagliare.
Qualche segnalazione
Quota 3189 m dei Becchi della Tribolazione
Tutti conoscono il Becco Meridionale con le sue classicissime e frequentatissime vie. Ma ci sono anche gli altri Becchi, Centrale e Settentrionale e poi i Becchi hanno anche un versante verso Noaschetta, non solo lato Piantonetto!!! Varie possibilità ci sono anche qui, vi si accede con un lungo giro scollinando il Colle dei Becchi oppure dal Biv. Ivrea seguendo i tratti rimasti della strada di caccia. Nell'agosto del 1983 con Giorda salii la parete sud della q. 3189 del becco con una divertente, non troppo difficile e breve via che valutammo sul TD-.
Becca di Gay 3621 m - Parete sud
La Becca di Gay sovrasta con alcuni imponenti speroni di ottina roccia la conca del Lago della Losa, spesso completamente ghiacciato anche in estate.
Qui, con Pietro Crivellaro e Giorda, esplorammo la parete aprendo una via sullo sperone centrale. Era il settembre 1984. 300 m, TD fu la valutazione dell'epoca. Sicuramente altre possibilità ci sono sui rimanenti speroni e sulla fascia rocciosa che chiude la conca del lago.
A sinistra: Becca di Gay - Parete Sud, in basso il Lago della Losa semi gelato, Visibile lo sperone centrale.
Punta di Ceresole 3770 m - Parete sud
E' senz'altro il problema dimenticato, un'imponente parete che si estende ai piedi della costiera Punta di Ceresole - Testa della Tribolazione.
La roccia in grandi bancate orizzontali compatte e prive o quasi di fessure costituì un formidabile ostacolo ai nostri tentativi "chiodi e martello" e poco altro. Ricordo (bene), in occasione di un tentativo con Anna Caudana e Andrea Giorda, una rocambolesca doppia la cui corda non voleva saperne di farsi recuperare. Tirammo a sorte per decidere chi sarebbe andato a sbrogliare la faccenda. Vinsi io e risalii 40 metri di corda penzolante nel vuoto coi prusik...
Per i volenterosi del futuro la parete è ancora là....
A destra: La parete sud della Punta di Ceresole 3370 m, in foto Anna Caudana e Andrea Giorda.
Infine un suggerimento più esplorativo che alpinistico ma in ogni modo una piccola sfida. Una lunga traversata in quota dal colle del Nivolet alla diga di Teleccio che consente di percorrere le zone più isolate del parco.
La percorsi nel 1991 grazie anche alla disponibilità di mia moglie Velleda che mi accompagnò al mattino presto al Nivolet e venne alla sera a recuperarmi alla diga.
In breve il percorso è: dalla strada del Colle del Nivolet prendere la mulattiera del Colle della Terra, scendere al Lago Lillet, Colle della Porta, scendere poco, il meno possibile, abbandonare la mulattiera è quì inizia "l'avventura" traversando in quota senza scende al Biv. Giraudo per sconfinate pietraie raggiungere il Colle di Tour, scendere dal colle sul versante Ciamosseretto e di nuovo traversare in quota talvolta sui residui del Gh. di Ciamosseretto salendo verso la base della Tresenta, individuare il passaggio per scavalcare la Cresta di Prosces e compiere un ampio giro in quota sui ripiani dell'alto vallone di Noaschetta sempre su pietraie e i residui lembi di ghiacciao. Passando sotto la Becca di Noaschetta scendere verso il Lago di Gay, spettacolari i ripiani post glaciali della zona, mantenersi in alto sopra il Biv. Ivrea e aggirare lo sperone della Becca di Gay per risalire al Lago della Losa. Salire ancora al Colle della Losa e scendere versante Piantonetto (sia in salita che discesa qualche passo di II-III grado). Scendere direttamente verso il pianoro del Rif. Pontese o raggiungere prima il Biv. Carpano e quindi la Diga di Teleccio.
Qualche consiglio/avvertenza
Giro molto lungo, con notevole dislivello e per il 90% su terreno completamente privo di qualunque riferimento.
Occorre: buon allenamento, velocità e dimestichezza anche in mezzo alle peggio pietraie, ottima capacità di orientamento e di lettura della carta, in tutto il percorso non ci sono tracce di alcun genere.
Considerare che la discesa dal Colle di Tour e il passaggio del Colle della Losa richiedono qualche passo di arrampicata (facile ma...)
Attendere tempo stabile, con la nebbia può essere un problema, si suggerisce settembre, più secco e non c'è più praticamente neve.
Tempistica: non saprei, io impiegai 11.30 ore dal Nivolet alla diga di Teleccio. Organizzarsi con due auto o qualcuno che vi recuperi.
In ordine: Dal Colle di Tour, Tresenta e Gran Paradiso; Ghiacciaio Tribolazione, Lago di Gay e Becchi Tribolazione; Piane fluviali presso Lago di Gay
Buona Noaschetta.
Alessandro Zuccon
Bibliografia
Maurizio Oviglia, Rock Paradise, Versante Sud, Milano 2000
Ugo Manera, Pan e Pera, CDA & Vivalda, Cuneo 2003
Gian Carlo Grassi, Gran Paradiso e Valli di Lanzo, Zanichelli, Bologna 1982
Carta dei sentieri e dei rifugi, Parco Nazionale del Gran Paradiso, 1:50.000, IGC 2012
http://www.guidelatraccia.com/sitonuovo/portale/settimana/roccia/noaschetta.html
http://www.scuolagervasutti.it/articoli/relazioni-vie/76-punta-phuc-a-volte-ritornano.html
Si ringraziano gli apritori interpellati, tutti istruttori della Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti, per la disponibilità ed il materiale fornito.
Filippo Ghilardini, Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti