La Raie des Fesses ED (V/5) 500 m
La Raie des Fesses ED (V/5) 500 m a cura di Mauro Raymondi
La “Raie des fesses” è una goulotte situata sulla parete Nord del Pic Sans Nom (3913m) nel gruppo degli Écrins, nel cuore del Glacier Noir. Salita estrema aperta nel 1976 da Boivin e compagni, ha resistito a lungo alle ripetizioni. Una magnifica via di scalata mista su ghiaccio e neve in un contesto grandioso e severo, divenuta una classica impegnativa...
Venerdì 12 gennaio 2007 ore 11.30, suona il telefono, è Laura: “Senti… andiamo a fare “La raie des fesses” al Pic Sans Nom, appuntamento con Elio per le due?”. Porca mucca, liquido i miei colleghi di lavoro annunciando un improvviso impegno! Butto in macchina tutto il materiale da ghiaccio, ma questa volta aggiungo anche gli sci e il necessario per dormire e mangiare al rifugio invernale.
In quasi perfetto orario io e Laura arriviamo all’appuntamento con Enrico ed Elio: la temperatura è tipicamente primaverile, la macchina è carica di zaini e sci nello stile di una spedizione extraeuropea. Al primo autogrill approfittiamo del fatto che lo zucchero sia compreso nel prezzo del caffè per farne una abbondante scorta.
Arriviamo ad Ailefroide all’imbrunire, siamo nel cuore del parco degli Écrins, i cellulari qui non servono a nulla. Uno stupendo cielo stellato e le sagome nere delle montagne ci accompagnano nella salita al Rifugio Cezanne tanto che non accendiamo neppure le frontali quasi per paura di rompere questo stupendo incantesimo.
Ridendo e scherzando prepariamo la cena condividendo tutto quanto abbiamo raccattato alla meglio partendo da casa, perciò ne esce un antipasto di affettati, minestrone al cus-cus, scatolette di tonno ed insalatissime, un pandoro di non chiara provenienza e tè in abbondanza. L’improvviso odore di pollo arrosto purtroppo è un’illusione, si tratta soltanto dei peli di Elio andati in fumo dopo aver litigato con il fornellino a gas. Andiamo a nanna chiudendoci nei nostri sacchi a pelo e con la terribile minaccia di Laura: “Chi russa prende calci!”
La sveglia suona alle 3, prepariamo la colazione, i thermos con il tè caldo ed alle 4 siamo pronti a partire, nel silenzio della notte risaliamo il Glacier Noir, una stella cadente attraversa il cielo, gli zaini sono pesanti e poco prima delle 7 arriviamo sotto l’attacco della goulotte dove, mentre ci prepariamo aspettiamo l’alba. Laura, non appena prende in mano le piccozze, ha già dimenticato la fatica della salita; Elio ed Enrico attaccano la prima lunghezza, che nonostante l’apparenza amichevole, sappiamo essere il tiro più duro.
E’ subito evidente il problema della chiodatura, che in questo ghiaccio molto simile al nevato, è possibile in pochi punti e che comunque risulta sempre essere molto aleatoria. Partiamo anche noi; mentre inizio a salire allontanandomi dalla sosta la mia socia mi raccomanda: “Mauro, proteggi la sosta…” il suo è un messaggio molto chiaro, sotto la sosta di partenza c’è la crepaccia terminale… devo riuscire a mettere un chiodo non appena possibile, è proprio vero la corda unisce…
Questo primo tiro con tratti a 85/90 gradi comporta un forte impegno mentale soprattutto quando, avvitando le viti da ghiaccio, fuoriesce una misera ed inconsistente carotina… Con il superamento del primo tiro di oltre 60 metri arriviamo ad una sosta su roccia. Affrontiamo i successivi tre tiri di oltre 60 metri progredendo in conserva protetta su pendenze tra i 50/55 gradi. Qui la goulotte prende la sua forma ed ora comprendiamo quanto il nome della via sia tutto un programma: La Raie de fesses “il solco tra le natiche!” si tratta di uno stretto canale tra pareti di roccia che non offrono possibilità di mettere protezioni nei passaggi chiave.
Il canale è il collettore di neve, ghiaccio e rocce che provengono da molto più in alto, l’aria è tagliata da frullanti oggetti in caduta libera! I nostri sensi sono continuamente all’erta nel tentativo di percepire l’arrivo di qualche scarica più consistente. A questo punto rivediamo Elio ed Enrico, che dopo aver terminato la salita, si stanno calando lasciando la stretta parte terminale tutta per noi. Qui la goulotte si restringe fortemente, a tratti la larghezza è anche inferiore al metro. Affrontiamo un tiro con un tratto a circa 85 gradi e sosta su abalakov. Il tiro successivo è nuovamente impegnativo con un tratto finale tra gli 80/90 gradi e come sempre poco proteggibile ma con arrivo su sosta a chiodi e qui osiamo pensare che i continui snow-drift metterebbero a dura prova anche la pazienza di Gandhi…
Un altro tiro di 80 gradi porta ad un’altra sosta su abalakov. Intuiamo di essere sul tiro finale che a vedersi sembra presentare una facile uscita su neve. Questa è invece una piccola sorpresa, in realtà il ghiaccio è scarso e molto fine, la neve inconsistente, insomma si tratta di superare un breve ma delicato tratto a 85/90 gradi cercando di sfruttare ogni appiglio. All’ultima sosta su un’ennesima abalakov prepariamo la prima delle nove doppie che ci aspettano.
La nostra esperienza ci insegna a non abbassare minimamente l’attenzione, controlliamo con cura la tenuta delle soste. Calandoci vediamo laggiù, qualche centinaio di metri più in basso i nostri sci in uno stupendo vallone solitario e selvaggio. Durante la discesa in doppia nel tratto mediano sento l’arrivo minaccioso di una scarica di pietre, avviso Laura e cerco di appiattirmi il più possibile. Dopo qualche minuto nel canale torna il silenzio, chiamo Laura e ci assicuriamo di non aver subito danni. Con l’ultima doppia superiamo anche la crepaccia terminale e raggiungiamo gli sci dove finalmente tra tè tiepido e qualche dolcino ci facciamo i complimenti.La discesa con gli sci sarebbe abbastanza piacevole se non per qualche tratto di crosta tremenda, ma comunque raggiungiamo il rifugio dove Elio ed Enrico ci attendono fiduciosi. Carichiamo gli zaini con le cose che avevamo lasciato qui al rifugio ed ancora un’ultima fatica: dobbiamo spingere sui bastoncini per raggiungere la fine del pianoro ed allora Enrico esordisce con una “simpatica constatazione”: I tricipiti oggi non li avevamo ancora utilizzati!
Raggiungiamo l’auto al buio e come sempre non si riesce mai a capire perché al ritorno ci sia più materiale che all’andata. Siamo felicemente stanchi e dato che siamo affamati come lupi, risulta indispensabile una sosta in un noto bar di Cesana, dove Laura, alla faccia della dieta, stupisce tutti quanti (compreso il proprietario del locale) bevendo birra e… mangiando zabaione…
Dopo aver scampato una multa grazie alla benevolenza di una pattuglia della stradale, arriviamo al parcheggio del nostro primo appuntamento e ci salutiamo con gli occhi ancora scintillanti per le emozioni condivise in questa nostra piccola avventura… alla prossima amici!
RELAZIONE:
Area: Alpi Occidentali, Gruppo: Glacier Noir, Cima: Pic Sans Nom, Quota: 2800m, Stato: Francia, Massiccio: Écrins, Esposizione: Nord, Sviluppo goulotte: 500 metri
AVVICINAMENTO:
L'avvicinamento ottimale sarebbe da farsi con gli sci. Da Ailefroide (1500m) raggiungere lungo la strada il rifugio Cezanne (1874m) dove è possibile utilizzare il locale invernale (coperte) contare circa 1ora e mezza. Da qui proseguire imboccando il vallone del Glacier Noir. Risalire il vallone tenendosi pressoché nel centro e risalirlo sino ad incrociare la traccia del sentiero estivo circa alla quota di 2500 metri. Imboccare la biforcazione di sinistra per salire sul ghiacciaio ai piedi del Pic Sans Nom. A questo punto raggiungere l'evidente conoide alla base della goulotte ben visibile al centro della parete (2800m circa). Dal rifugio calcolare 3 ore se è presente la traccia, altrimenti fino a 5 ore in assenza di questa. Prestare attenzione a risalire il pendio che porta ai piedi del primo tiro per la presenza di alcuni crepacci e della crepaccia terminale.
DISCESA:
La discesa più rapida è quella in doppia lungo il percorso di salita. A titolo conoscitivo esistono altre possibilità proseguendo all'uscita della goulotte ma queste richiedono una buona conoscenza del terreno.
MATERIALE
Normale equipaggiamento da cascate, qualche chiodo da roccia, cordini da abbandono sia per le calate su abalakov che per rinnovare quelli già presenti alle soste che durante l'estate sono bersagliate dalle scariche di pietre.