Lo "Spirito dell'Avventura": La Punta di Fioni, l'aquila, la parete.
La Punta di Fioni, l'aquila, la parete
1978, giovane allievo del Corso di Alpinismo Gervasutti risalgo per la prima volta il Vallone di Piantonetto. Il mio istruttore, Claudio Sant'Unione, decide che non ripeteremo una via, ma andremo invece in 'esplorazione'. Salimmo così uno dei numerosi speroni che precedono il Becco di Valsoera, su su fino alla sommità della cresta e poi giù dall'altro versante in un avventuroso rientro. Una "via nuova"? Sì, probabilmente sì, ma allora non la tenemmo in gran conto, nessuno fece relazioni od altro e oggi non ricordo altri particolari.
Ma forse nacque così il gusto per la ricerca, del muoversi dove non è mai passato nessuno o quasi, la capacità di fiutare un passagio dove non si vedono altro che rocce informi, vertiginosi canali e cenge sfuggenti.
40 anni dicevo e da allora molte volte sono stato in Piantonetto, con tanti compagni diversi e immancabilmente ci si interrogava sulla grande parete che appare, superate le ultime case di San Giacomo, in alto, molto in alto, incombente sulla valle al di sopra di ripide balze di roccia ed erba. Come sarà la parete, ne vale la pena? Sì, sembra interessante anche osservata col binocolo, ma innanzi tutto come arrivarci, come superare le fasce rocciose sottostanti, compatte, spesso strapiombanti, segnate da un labirinto di cengie e canali erbosi sospesi?
Alla fine non se ne fece mai nulla ma intanto il tarlo lavora...
Primi anni '90, tento di dedicarmi alla caccia fotografica e poichè arrampicando allo Scoglio di Mroz avevo casualmente individuato il sito di nidificazione di un'aquila per tentare di fare le foto ero riuscito a risalire verso la parete fino ad un pulpito roccioso da dove potevo osservare il nido da non troppo lontano. Passai alcune domeniche appollaiato lassù ad aspettare l'aquila ma foto niente. Non che l'aquila non si facesse vedere, anzi, andava e veniva dal nido in continuazione incurante della mia presenza, sicuramente mi aveva visto e stabilito che sì ero un po' un rompiscatole ma sostanzialmente inoffensivo. Solo che l'aquila arrivava alla velocità di un missile e spariva nel suo nido e altrettanto all'improvviso ripartiva e io nemmeno riuscivo a puntare la macchina fotografica che quella era lontana, molto lontana altro che scattare le foto.
Alla fine lasciai perdere ma il pulpito rimase in memoria e lei, la parete, era sempre là, alta sopra le rocce, a lanciare il suo guanto di sfida.
2018, uscita Gerva allo Scoglio di Mroz, di fronte la Punta di Fioni e la parete, solito tormentone, bisogna andarci, ma come arrivarci, altre foto, altre congetture. Da sotto sembra proprio impossibile ma, nuova ipotesi, partendo dalla diga traversando 'in piano' tra le rocce al di sopra delle zone più ripide? Nel frattempo avevo anche scoperto che le vecchie ma accurate carte IGM riportano una traccia di sentiero che da Lenzolè, borgata nel Vallone di Valsoera sopra San Giacomo, si inoltra nel versante sotto la parete. E' un'altra possibilità, si parte da basso e da lontano ma forse funziona.
Forse, ma ancora una volta tutto resta in sospeso.
2019, nuovamente a Mroz col Corso, altre foto, altre osservazioni, poi la decisione, basta parlare bisogna andare a vedere.
Riesamino la questione, dà una mano il PCN, stà per Portale Cartografico Nazionale, Ministero dell'Ambiente, confronto le foto aeree con la cartografia tradizionale, riguardo le innumerevoli foto scattate, elaboro un possibile percorso, fisso dei riferimenti, sarà a partire dalla strada della diga, si tratta di concatenare con numerosi saliscendi la serie di cengie che sembrano portano nei pressi della parete.
Un sabato salgo in macchina verso la Diga di Teleccio fino al tornante prima della galleria. Parcheggio. Inizio a traversare, ripidi prati si alternano a pietraie e roccette, ogni tanto costruisco qualche ometto, non si sa mai arrivasse la nebbia e dovessi rientrare, attraverso canaloni ingombri di grandi massi franati e dei residui delle valanghe. Di fronte, sul versante opposto della valle, lo Scoglio di Mroz e il tormentato percorso della strada per la diga in una prospettiva del tutto inusuale. Chissà se qualche montanaro/cacciatore è mai stato quì in passato, non c'è il minimo segno di passaggio, bisognerebbe parlare con qualche anziano del posto...
Intanto riesco a procedere, il percorso immaginato, a meno di qualche dettaglio deciso sul terreno, si rivela corretto, sono arrivato sulla sella a monte di un cocuzzolo proprio di fronte alla parete tanto osservata. Qualche passo su roccette un po' esposte ma facili e sono in cima, la parete è proprio lì davanti, in mezzo solo un ultimo stretto e ripido canale. Sono all'altezza del centro della parete, si vedono bene tutti i dettagli, sì si può scalare, anzi è forse più interessante di quanto sembrasse da lontano. Un gran numero di fessure tagliano placche compatte, più in là muri verticali con diedri e tetti imponenti. C'è molta erba, bisognerà fare i conti con l'erba che ha colonizzato meticolosamente diedri e fessure ma più osservo la parete più mi convinco che ne valga la pena.
E poi in basso, ecco, lo riconosco subito, è il pulpito da dove puntavo al nido dell'aquila. E' li, sotto di me, forse 150 - 200 m, un canale erboso, qualche roccetta, sembra impossibile non riuscire a raggiungerlo, ho con me uno spezzone di corda, a costo di fare qualche doppia ci devo arrivare.
Ma prima voglio ancora andare a vedere oltre se riesco ad individuare la traccia di sentiero che dovrebbe provenire dall'altro lato, da Lenzolè, e voglio anche vedere e fotografare la parete da tutte le angolazioni. Scendo un poco, aggiro uno sperone roccioso, sono alla base di una parete secondaria, 50/60 m di altezza, 10 o 12 fessure la solcano da cima a fondo. Parallele. Nette. E piene d'erba.
Attraverso un canale, arrivo su un pendio sospeso ricoperto di rododendri, in questa stagione in piena fioritura, c'è una traccia evidente. Probabilmente dei camosci che vedo numerosi risalire il pendio. La seguo per un tratto poi sparisce sulle roccette, con qualche passaggio esposto le supero, sono su un costone sopra una roccia sporgente sulla valle, la strada in fondo sembra essere proprio sotto di me tanto il pendio sottostante è ripido. Oltre si apre un valloncello meno aspro e meno roccioso, guardo la carta e le foto aeree del PCN, sono certo, Lenzolè è oltre quei dossi la in fondo, di qui ci si arriva di sicuro.
L'antico sentiero passava quì o molto vicino, oggi è probabilmente scomparso o è diventato l'esile traccia percorsa dagli animali o forse ancora è ritornato traccia, gli stessi montanari fequentavano questi luoghi seguendo gli animali e all'epoca trasformarono in sentieri le loro tracce. Prima o poi bisognerà verificare.
Ma adesso l'obiettivo è raggiungere il pulpito dell'aquila. Torno indietro, continuo a scendere nel canalone sotto la parete che progressivamente si stringe, ora sono sul bordo di un salto, non si può proseguire ma basta uscire un poco dal fondo e traversare in un canalino secondario a fianco, ripido ma con buone piante per tenersi, si scende ancora, queste sono tracce di animali, se passano loro ci posso riuscire anch'io. Di nuovo il canale termina su un salto impercorribile ma ormai il pulpito dell'aquila è lì, sarà al massimo 20 metri sotto di me, oltre un gendarme roccioso che forse si può aggirare. Salgo qualche metro, scavalco una crestina rocciosa, ora solo un pendio erboso mi separa dal pulpito. E' molto, molto ripido, al fondo bisogna ancora fare un'acrobazia per saltare giù da un ultimo gradino roccioso ma è fatta, abbiamo trovato un accesso praticabile non troppo lungo o troppo difficile per raggiungere la parete. Il resto è routine, nonostante i tanti anni passati ricordo bene dove passare per scendere a valle, il lungo pendio di erba e sassi, la fascia rocciosa che si aggira a sinistra poi la diabolica pietraia di colossali macigni da scavalcare e infine il guado del torrente, al di là, pochi metri, la strada per la diga. Già, io la macchina c'è l'ho lassù, praticamente alla diga, non importa piano piano risalgo, poco più di un'oretta e sono all'auto. Ma intanto ho modo di riflettere, nei terribili, insuperabili salti di roccia che per tanti anni hanno impedito di arrivare alla parete in realtà c'è un passaggio, la parete può essere raggiunta con un percorso laborioso ma non difficile o pericoloso. Bastava provare, non fermarsi all'apparenza, qualcuno direbbe applicare il metodo sperimentale. E allora applicheremo questo metodo alla parete che ora, non ci sono più scuse, dovrà essere scalata.
Ma questa è un'altra storia, a seguire...