Serata con Patrick Gabarrou
Patrick Gabarrou a cura di Ugo Manera
Gli anni ’70 del secolo scorso sono stati anni di grande evoluzione dell’alpinismo europeo ed Italiano, evoluzione tecnica e di pensiero. Sul piano tecnico ebbe enorme importanza la diffusione della progressione frontale su ghiaccio con 2 attrezzi (piolet traction), già praticata in Scozia ma pressoché sconosciuta sulle Alpi. A lanciare e diffondere tale tecnica contribuirono due imprese della guida francese Walter Cecchinel: la Nord-Est del Gran Pilier d’Angle nel 1971, con George Nominé ed il Couloir Nord Est dei Drus con Claude Jager dal 28 al 31 dicembre del 1973.
Sempre di carattere tecnico fu in quegli anni la vera rivoluzione che avvenne nella sicurezza della cordata con l’affermarsi dell’assicurazione dinamica, sperimentata e poi promossa soprattutto da un gruppo di guide ed accademici italiani.
Sul fronte dell’etica avvenne una grande spinta per un ritorno all’arrampicata libera ed, in Italia, un fiorire di vari “Nuovi Mattini”, volti ad emancipare l’alpinismo dalla visione eroica e drammatica che aveva prevalso nell’era del “sesto grado”.
Il diffondersi della progressione frontale su ghiaccio aprì nuovi orizzonti per gli scalatori; innumerevoli canalini ghiacciati, sempre evitati per la difficoltà presentata nel superarli con tecnica da ghiaccio tradizionale e per i pericoli oggettivi, divennero gli obiettivi da affrontare in “piolet traction”, tecnica che consentiva una velocità di progressione tale da ridurre molto l’esposizione in quei canali che sono le naturali vie di scarico delle pareti.
A metà degli anni 70 due nomi di giovani francesi si impongono all’attenzione internazionale nell’affrontare queste nuove opportunità che si offrono agli scalatori: Jean Marc Boivin e Patrick Gabarrou; sono coetanei (nati nel 1951) e continuano la tradizione francese di scalatori nati lontani dalle Alpi e divenuti grandi protagonisti dell’alpinismo, seguendo le orme di Gaston Rebuffat, Jean Couzi, Georges Livanos, Robert Paragot, René Desmaison.
La più importante delle realizzazioni della cordata Boivin-Gabarrou è la prima ascensione del: “Supercouloir” al Mont Blanc du Tacul, dal 18 al 20 maggio 1975, poi la cordata si scioglie ed ognuno segue la propria strada di grande protagonista dell’alpinismo estremo e di altre attività limite legate alla montagna.
Patrick Gabarrou ha svolto un’attività immensa e dopo tanti anni è ancora protagonista, prima però di parlare del personaggio voglio rubare le parole di Gian Piero Motti nella presentazione dell’articolo: << Du Spirituel Dans L’Art >> di Gabarrou, pubblicato sul celebre “ SCANDERE” 1979.
<< Nell’alpinismo odierno vi è una certa confusione. Vanno comunque delineandosi due correnti abbastanza definite: quella dell’alpinismo competitivo, che ricerca evoluzione soprattutto nella difficoltà tecnica, e quella del gioco e della così detta vita in parete. Ci sembra che nessuna delle due correnti rappresenti una meta ideale.
Nella prima è fin troppo evidente il titanismo, il desiderio di vincere e di umiliare la Natura, di renderla adeguata all’uomo. Nella seconda vi è la rinuncia del mondo fantastico delle altezze.
Lo scritto di Gabarrou è affascinante ed è particolarmente bello perché rappresenta forse la sintesi ideale tra le due contraddizioni. Patrick non parla di alpinismo di conquista, ma di scoperta. Egli immagina un uomo capace di avvicinarsi al mondo delle altezze non tanto per sentirsi superiore ad esse, ma per entrarvi in armonia, per vivervi avventure magiche e meravigliose. Certo vi è una tecnica, ma é l’uso di questa tecnica e dei mezzi che qualifica un uomo ed il suo stile. In sostanza ci sembra di vedere in Gabarrou quello stupore fanciullesco di evangelica memoria, capace di aprire le porte del Regno dei Cieli.
A questo punto parlare di sogni realizzati da Gabarrou potrebbe anche essere superfluo. E’ bene tuttavia ricordare che egli è uno dei migliori alpinisti europei, realizzatore di nuovi itinerari su ghiaccio e su misto che si impongono per la loro essenziale eleganza e logicità. Coloro che hanno solo nel cervello la difficoltà saranno soddisfatti: sono tutte vie di estrema difficoltà. Anche se probabilmente Patrick non è la difficoltà che cercava: la trovava lungo il cammino che aveva prescelto. >>
L’attività alpinistica di Gabarrou è immensa, sia come guida alpina ma soprattutto a livello amatoriale, alla ricerca sempre del suo obiettivo: sognato, scoperto e poi risolto. Inutile fare una lista delle sue realizzazioni, basta entrare nella “rete”, cliccare su Wikipedia e compare una lunga lista di prime ascensioni, tutte importanti e tutte di grande impegno. Alcune sono state delle tappe importanti dell’alpinismo moderno come la via “ Divine Providence “ sul Gran Pilier d’Angle al Monte Bianco aperta con François Marsigny dal 5 all’ 8 luglio 1984.
Non ci sono dubbi che la spinta dell’alpinismo di Gabarrou è la ricerca del nuovo, del pezzo di montagna o parete mai toccato da nessuno ove inventare un nuovo tracciato, non necessariamente su montagne celebri, lo dimostra la sua vasta attività di apertura sulle alpi marittime, su pareti sconosciute ai più. Anche il mio alpinismo fu animato dalla ricerca del nuovo ovunque ve ne fosse l’opportunità e, sebbene divisi da un bel po’ di anni di età, ed io fossi frenato dalla minore disponibilità di tempo del dilettante da dedicare alle scalate, rispetto al professionista, c’è stato un periodo in cui ci siamo rincorsi su qualche grande parete: nel 1979 Patrick, con Pierre Alain Stainer, tracciava una via sulla parete Nord del Breithorn Centrale, un anno dopo, il 7 settembre 1980, con 4 compagni, aprivo una via sulla difficile Nord della Torre Maggiore sempre del Breithorn Centrale. Nell’estate 1980, con Bessone, Meneghin, Pelizzaro, tracciavo la via “dei Dilettanti” sul Pilastro Rosso del Brouillard; nei giorni 28-29 luglio 1983 Gabarrou, con Alexis Long, apriva la sua via sullo stesso magnifico Pilastro.
Quando ho conosciuto Gabarrou e l’ho sentito illustrare le sue scalate, mi sono reso conto del suo particolare modo di sentire la montagna. Ho conosciuto tanti scalatori celebri di molte epoche, animati ognuno da spinte diverse e da una propria visione dell’ alpinismo. Patrick per l’entusiasmo con il quale percorre la montagna e per l’amore che esprime per quell’ambiente mi sento di accostarlo a due grandi protagonisti: Gaston Rebuffat e Gian Carlo Grassi.
A Rebuffat lo accomuna la visione di una montagna mai matrigna, dove domina sempre il bello, dove non compare la tragedia ma prevale l’ottimismo, dove l’avventura è un sogno trasformato in realtà in ambienti meravigliosi sempre illuminati da un cielo azzurro.
Con Grassi condivide l’incontenibile voglia di scalare, ovunque, alla ricerca dei luoghi più remoti per tracciare itinerari a volte suggeriti più dall’immaginazione e dalla fantasia che dall’evidenza logica. Come Gian Carlo credo sia spinto alla ricerca di una visione artistica dell’aspro ambiente affrontato che porta oltre la normale percezione della vita.
Ugo Manera