(…) con i piedi per terra e la testa tra le nuvole….
Ripenso a questa frase che ho letto su un libro che sto leggendo in questi giorni mentre mi avvicino al parcheggio della palestra del Bracco, terzo appuntamento del “rinato” corso di arrampicata libera della Gerva.
Sono in tanti gli allievi e, fatto che ci ha stupito non poco, il 70% sono donne; ci sarebbe da studiarci sopra su cosa abbia attratto così tanto il genere femminile per un’attività che, sino a pochi decenni fa, contava le ragazze sulle dita di una mano.
Tralascio per pudore e per non essere tacciato di sciovinismo maschilista i commenti entusiastici degli istruttori single o sfidanzati, per fortuna l’età media di questo 70% è al disotto dei 35 anni e pertanto tutto ciò che al massimo posso fare è “ammirare”.
Alla prima uscita nelle Valli di Lanzo sui massi erratici delle Courbassere, li abbiamo conosciuti, tutte simpatiche e simpatici, con tanta voglia di ascoltare e, soprattutto, nessuno che si atteggia da primo della classe o con una smisurata voglia di esibire il suo ego da 7c palestrato.
Si prendono le prime mazzate sui denti bloccando il famigerato pneumatico da camion in caduta libera, si attorcigliano le dita nelle fessure e provano la salita con la tecnica della dulfer con lo stesso impegno che avrebbero tirato fuori per provare la posizione 96 del kamasutra.
La seconda uscita è tormentata dal maltempo in una Val di Susa che è tutta una pioggerellina e nebbia fitta, fitta, così che ci perdiamo almeno un paio di volte nel seguire la macchina sbagliata.
Alla fine, sbrocchiamo in bassa valle, dividendoci nelle falesie che la pioggia e la nebbia non ha avvolto. Con il nostro gruppo ci avviamo in una falesia che oltre a scalare, sentiamo tutto il giorno un assordante e innaturale (almeno per me) musica metal di qualche festa paninara dei local del paese.
La terza uscita ha come meta il Monte Bracco bella falesia della Valle Po , giornata con un bellissimo e caldo sole autunnale.
Arriviamo al parcheggio e mi tocca fare il solito controllo anticovid a tutti quanti.
Per fortuna abbiamo imparato tutti a compilare celermente il modulo, prendere la temperatura e schizzare via verso la falesia.
Prendo le mie ragazze e, dandogli la vecchia guida del Bracco, le invito a portarmi alla Placconata dei Serpenti.
Premesso che con la nuova cartellonistica perdersi al Bracco è quasi impossibile, le allieve si consultano con lo stesso impegno delle guide scout del plotone del generale Custer, portandomi, senza alcun errore, nella falesia prescelta.
Speravo di trovare poche cordate ma un'altra scuola ci aveva preceduti. Nulla di male, hanno ri-chiodato parecchie vecchie vie e ora lo spazio è ampio, tale da non darci fastidio.
Arriva anche il Berni…ovviamente in ciabatte da spiaggia…ribadisco che quelle NON sono le scarpe giuste per l’avvicinamento ma essendo stato colpito dal morbo “dell’Hobbit Callodonoso” , è stato dispensato dallo scarponcino tacco 2.
Comunque, avere il Berni insieme è una garanzia, si puppa tutta la parte di costruzione soste, attrezzatura e discesa da sosta, posizione del proprio baricentro, igocentro e pericentro.
Scoprirò che gli ultimi due non esistono ma che importa?? vuoi mettere l’enfasi con cui si “racconta” mentre sale una placca di 6b con controlli incrociati, posizionamento del proprio deretano in asse con l’ombelico, così da non perdere l’equilibrio, spingendo lateralmente sulle anche e tenendo i talloni bassi.
La lezione è al top…non posso che fermarmi e guardare anche io ammirato!
Una cosa, molto bella che abbiamo notato di questi allievi è la grande capacità di ascolto, di voglia di sapere (le narrazioni di Ugo sulle sue vie alle allieve della sua cordata, sono diventate un’icona), la fiducia in quello che consigliamo, fanno veramente piacere.
Ultima uscita alla Rocca Sbarua. (Il toponimo significa roccia che spaventa), la storica palestra dei Pinerolesi e Torinesi. Grandi alpinisti quali Boccalatte, Bianciotto, Gervasutti, Mellano, Guido Rossa,Rivero, Motti, Grassi, hanno aperto logici e bellissimi itinerari, ancora oggi molto ripetuti e di grande soddisfazione.
Mitizzata da molti sia perché oggi si potranno fare vie di più tiri, sia perché è prevista la mitica e irrinunciabile merenda sinoira di fine corso.
La Sbarua è super-frequentata, in ogni dove ci sono grappoli di cordata appese alle soste che attendono il loro turno.
Fuggo con la mia allieva in cerca di una via meno frequentata. Arrivo al Torrione del Bimbo… per fortuna solo due cordate delle nostre stanno salendo la via, ma la diretta della stessa è libera e prendiamo immediatamente il nostro ticket.
Bene, si sale una via che ha i primi due tiri impegnativi ma è il prezzo da pagare per non rimanere fermi ad aspettare la salita delle altre cordate che ci hanno preceduto.
Salgo i due tiri cercando di posizionare qualche lungo che possa aiutare la socia a non sputare sangue e noto, con piacere, che lei non molla mai, si divincola in posizioni a me sconosciute ma sale; si appende un pochino per prendere fiato ma poi sale; mi chiede “ma è tutta così” ma sale.
In sosta anche lei….
Arriviamo anche noi all’ultima sosta e poi giù di corsa verso casa Canada che sta arrivando la sera. Durante il tragitto chiacchiero con l’allieva, scopro che è una romana verace e che le montagne, così come l’arrampicata, sono veramente state un colpo di fulmine, un amore a prima vista.
Bella cosa questa, soprattutto che mi parli del suo interesse per la montagna, di quello che ci sta intorno dalla neve alla roccia, delle fughe con altri colleghi e colleghi “innamorati” per andare a fare qualche via facile o ferrata.
Pensavo che questo “mal di montagna” colpisse solo le generazioni post-sessantotto, disilluse da una rivoluzione annunciata ma irrealizzata, ma scopro con piacere che il male si diffonde anche in altre generazioni…Buon segno.
Arriviamo a Casa Canada sottraendo il premio dell’ultima cordata rincasata al buon Elvio che oramai ci provava un sottile piacere ad averlo tutto per sé.
Via con le birre e taglieri di quelli giusti.
Oramai l’arrampicata ha preso il suo lato migliore, dove tutti raccontano la loro via, il passaggio obbligatorio risolto in men che non si dica, si scambiano cellulari e si formano nuove cordate per il prossimo WE…come da programma.
Qualcuno parla di Finale, del suo calcare meraviglioso fatto di buchi dolorosi e di dita callose per tenere esili tacche, di vie mitiche che hanno fatto la storia dell’arrampicata ma, soprattutto, che siamo una vita che non andiamo da quelle parti.
In men che non si dica tra gli allievi si organizza un’uscita fuori corso, un WE a Finale tutto da organizzare tra di loro e con noi istruttori come ospiti.
Mi succhio le dita dell’ultima fetta di “pastiera” cucinata dalla mitica Palma che trova anche il tempo per varare un nuovo gruppo WZ …” Finale tra Amici” ….
Ma questa è un’altra storia.
Gian Piero Porcheddu (GPP)