Mr Kosterlitz, I presume
Mr Kosterlitz, I presume
Il 15 Febbraio Mike Kosterlitz ospite del CAI a Torino.
Ebbene sì, anche noi potremo pronunciare la fatidica frase “Mr Kosterlitz, I presume”, come fece il giornalista Morton Stanley con l’esploratore David Livingstone, perso e ritrovato in Africa.
J. M. Kosterlitz, proprio quello che ha seminato la nostra gioventù di enigmi su roccia, come la famosa fessura in valle dell’Orco, riapparirà nella tribù degli scalatori piemontesi.
L’appuntamento è per il 15 febbraio alle ore 21.00 , nella prestigiosa Sala degli Stemmi al Monte dei Cappuccini (Ingresso Museo Nazionale della Montagna).
Ad intervistarlo sarà Roberto Mantovani, giornalista nato professionalmente alla Rivista della Montagna, fucina intellettuale del Nuovo Mattino. Con lui Il grande Ugo Manera, che fu compagno di avventure del nostro ospite scozzese, ora diventato premio Nobel per la Fisica. Una bella soddisfazione per Ugo, che ha come simpatico Nickname “Pane e Pera” (Pane e Pietra) a sottolineare la sua proverbiale schiettezza di vedute.
Ma diciamolo, a noi grezzi scalatori del Nobel ci importa poco, se non fosse che ha riportato a Torino Kosterlitz in persona. Il Nobel dell’arrampicata se lo era già guadagnato da tempo… con l’innovazione nella scalata e nei materiali, in quel Nuovo Mattino di Gian Piero Motti e compagni.
Scalare la fessura Kosterlitz a Ceresole, ancora oggi è il test di entrata per essere accreditati in valle Orco… chi arriva per la prima volta si fionda a provarla con esiti non sempre positivi. Gli affettuosi “Vaffa...“ non si contano, ma che livello aveva Kosterlitz nel 1970?
Per chi vuole saperne più, un racconto di Andrea Giorda alle prese con la Kosterlitz - Isherwood all’ Avancorpo del Pizzo Porcellizzo nel gruppo Masino Bregaglia.
A proposito di Kosterlitz...
13 luglio del 1980, un freddo cane, una via di Kosterlitz? Qui? Dobbiamo assolutamente andare a vedere! Metterci alla prova.
Enrico Camanni, Anne Lise Rochat ed io siamo alla base dell’Avancorpo del Pizzo Porcellizzo, subito soprannominato Avanporco. Una montagnola insignificante, se non fosse che Giulio Fiorelli del rifugio Gianetti ci ha assicurato che la via Kosterlitz, con il temuto passaggio di settimo grado, passa proprio di li.
Ci ha puntato il binocolo addosso e non ci molla, non possiamo neanche barare… e poi noi siamo quelli che vengono dalla valle dell’Orco, con tutta la boria e la rivalità con i neonati Sassisti della Valle di Mello, mica possiamo tornare indietro.
Con sto freddo e le mani gelate avremmo anche una buona scusa, di chiodi poi non se ne vedono e metterli non sembra facile.
Ora può far sorridere, ma alla redazione della Rivista della Montagna due anni prima stava per essere cestinato l’articolo di Ivan Guerini sul precipizio degli Asteroidi, perché nella relazione compariva il settimo grado.
Nonostante fosse già uscito nel 1974 il libro sul 7° Grado di Reinhold Messner, per la burocrazia dell’alpinismo non esisteva. La scala UIAA si fermava al VI+ . Enrico, giovane redattore della Rivista della Montagna, incoraggiato da Gian Piero Motti, aveva dovuto discutere per battere a macchina e pubblicare il pezzo, che contribuì ad aprire l’orizzonte della scala verso l’alto.
Evidentemente Kosterlitz, nel 1968, quando comparì da queste parti, non si pose il problema, era, come molti anglosassoni, avanti di un buon decennio sulle nostre beghe a corto raggio.
Fiorelli, che fuori dalla capanna Gianetti non smetteva di puntarci, era stato un testimone diretto del loro passaggio. Nel 1968 Kosterlitz e Isherwood gli chiesero notizie della via Corti – Battaglia sul Pizzo Badile, aperta nel 1953, volevano fare la prima ripetizione.
La via aveva una fama sinistra perchè Battaglia in cima era morto per un fulmine . Isherwood, nel suo resoconto del 1969 racconta “ The guardian Fiorelli was suitable impressed when we mentioned the Corti route and told us that it was –estremamente difficile e tutto chiodi-“ ma poi Isherwood prosegue confidando al lettore che il loro obiettivo era scalarla il più possibile in arrampicata libera.
Nello stesso articolo si citano a paragone le pareti del Clogwyn du’r arddu in Galles, regno di Joe Brown e di quel Don Whillans che nel 1961 con Bonington aveva superato i punti chiave del Pilone centrale del Freney sul Monte Bianco, a pochi mesi dalla tragedia di Bonatti. Ancora una testimonianza della supremazia dello stile britannico, sviluppato sulle brevi pareti del Regno unito con protezioni veloci e arrampicata libera.
Sempre Isherwood scrive che “we were able to free climb bits of the pitch and we use several jammed nuts to save time and effort”. Scalata libera e nuts sul Pizzo Badile nel 1968! Per fare veloci e risparmiare forze…
Capiamo meglio che quando Kosterlitz portò i nuts nel 1973 in apertura sul Pesce d’Aprile in Valle dell’Orco, lasciando di stucco Gian Piero Motti e Ugo Manera, per lui erano di uso comune.
Nell’immaginario collettivo Kosterlitz è nato in valle dell’Orco, e anche per noi nella seconda metà degli anni settanta, ingenuamente lo era. Era l’eroe misterioso che aveva fatto passaggi estremi in libera e aveva lasciato il famoso copperhead per superare il primo tiro della via del Sole nascente sul Caporal .
Forse era solo un nut spiaccicato, da quel che mi ricordo, ma intanto obbligava anche i ripetitori al brivido di quel passo superato senza bucare la roccia, in perfetta etica anglosassone. Un monito e un insegnamento.
Che dire poi, a mio parere del più grade exploit di Kosterlitz, la prima ripetizione nel 1966 della Diretta Americana al Dru. Aperta da Royal Robbins e Gary Hemming pochi anni prima, nel 1962, la più difficile via delle Alpi, la via più californiana d’Europa.
Nel 1981 quando andai a ripeterla, la via era ancora un tabù per gli italiani, ma Patrick Berhault e Jean Marc Boivin che incontrai alla base già l’avevano scalata in giornata, in abbinata all’altra via americana del Monte Bianco, quella sull’aiguille du Fou. Rimarcando che ormai i francesi avevano colmato e superato il gap con gli inglesi, grazie anche alla nascente arrampicata sportiva a spit, che permetteva di alzare a livelli impensabili le difficoltà della scalata libera su roccia.
Il racconto di Isherwood prosegue e racconta che quel giorno del 1968 sul Badile, Kosterlitz e compagni andarono a ripetere la via Corti, fecero i due primi tiri originali e poi dove la Corti evitava i camini improteggibili, tirarono dritto macinando fessure e “ run out at best Californian speed….” .
Prima della cima affrontarono ancora uno scomodo bivacco dove Kosterlitz, nella notte, per un soffio, afferrò Isherwood per la collottola, stava precipitando. Il suo chiodo di assicurazione aveva ceduto.
Giulio Fiorelli che era salito in cima al Cengalo per seguire la scalata, quando li vide gli comunicò che avevano aperto una via nuova! La via degli inglesi. “Direttissima” come ricorda orgoglioso Isherwood.
Ora Fiorelli era lì, fisso su di noi, un personaggio unico, parafrasando Shakespeare si può dire che sembrava fatto della stessa materia che lo circondava, il duro granito di queste meravigliose montagne. Parlava con un forte accento lombardo e una marcata abitudine a mettere gli articoli davanti ai nomi, Camanni diventava “Il CCamannii! “
Noi con il nostro “né piemontese”, incontravamo una cultura lontana, ma l’arrampicata su granito era il nostro credo e questo ci rendeva fratelli con queste genti, che nel granito vivevano.
Non ho molti ricordi della scalata della via Kosterlitz all’avancorpo del Porcellizzo, solo un chiodo mal messo e un lungo tratto difficile da proteggere . Cose simili ne facevamo già in valle dell’Orco, non sapevamo da chi fosse stata ripetuta, credo che Anne Lise fece la prima femminile.
Per anni, dal 1974, con Enrico Camanni avevo avuto un rapporto esclusivo, come solo due adolescenti divorati dalla passione possono avere. La nostra cordata era perfettamente equilibrata, io sui passaggi più verticali e ruvidi, Enrico grande maestro di placche e passaggi tecnici.
Anche nella vita io ero più grezzo, lui devenne, non ancora ventenne, giovane redattore della Rivista della Montagna e contribuì non poco alla mia formazione con le visioni rivoluzionarie che viveva alla Rivista a contatto diretto con Motti e compagni.
Noi eravamo di casa sulle montagne della val Masino, della val di Mello, della val Bondasca, il papà di Enrico era originario di Chiuro in Valtellina e aveva ancora dei parenti e una casa.
Quella estate del 1980 però era diverso, qualcosa era cambiato, si era inserita una presenza femminile, Anne Lise, che aveva mutato gli equilibri. Eravamo cresciuti, dovevamo aprirci al mondo … e vivere nuove esperienze, individualmente.
Molti anni dopo a metà degli anni 90 mi ero dedicato al lavoro ed ero appena tornato dal Sud America , un giorno come preso da un presentimento andai a Ceresole da solo, un po’ imbolsito, per vedere se ero ancora capace di scalare la Fessura Kosterlitz, ero stato uno dei primi a riuscirci ai tempi di Beuchod e Bonelli che fu il primo italiano.
Rimasi senza parole a vedere i lavori stradali del tunnel che stavano per divorare la fessura, già il prato e tutti gli altri boulder erano spariti. Feci molte foto e mi diedi da fare per sensibilizzare i locali che mi presero quasi per matto. Volevo gridare la mia disperazione, ma in quegli anni la valle era stata abbandonata dagli scalatori, pochissimi ricordavano cosa erano state quelle rocce e tantomeno quel pietrone fessurato che ostruiva la strada in costruzione. Il laghetto del Sergent era sparito e il mio Nautilus incatenato, per paura che il camino si aprisse e crollasse con lo sparo delle mine.
La fessura si salvò, non so se per gli appelli degli scalatori che comparvero anche su La Stampa di Torino o solo perché, per poco, il tunnel non la toccava. Nel 2000, con la guida di Oviglia Rock Paradise, la valle uscì dall’oblio ed ebbe nuova vita, ma fino a poco tempo fa una roulotte bruciata campeggiava ancora nei paraggi e varie discariche di materiali la circondavano, speriamo che il premio Nobel dato ora a Kosterlitz faccia il miracolo di dargli un contorno più degno.
Per noi adolescenti degli anni ’70, gli scalatori di Camp 4 in Yosemite erano idoli da venerare e imitare come fanno le ragazzine con le Rockstar. Mike Kosterlitz, scozzese, era entrato nel nostro immaginario, e quella fessura con i massi intorno era il nostro Camp 4, il laboratorio dove trovarci ed esplorare i propri limiti.
Andrea Giorda
CAAI
ALPINE CLUB
Si ringrazia Alessandra Ravelli della Biblioteca Nazionale del Cai per le informazioni sulla via Kosterlitz Isherwood all’Avancorpo del Pizzo Porcellizzo.