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Un ricordo di Marco Bagliani

A distanza di qualche mese dall’incidente che ha visto coinvolti Marco Bagliani, Luca Giribone e Luciano Peirano, con esito fatale per i primi due, ci tengo a raccontare qualche aneddoto e a ricordare la mia amicizia con Marco.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo durante il mio primo corso con la scuola Gervasutti di Torino, era il 2015 e avevo deciso di iscrivermi all’innovativo e inedito corso di Dry tooling per affinare la tecnica di scalata su misto e roccia con le picozze. Dopo le prime lezioni teoriche grazie anche a un’amica in comune, Marco mi aveva invitato a fare una salita già abbastanza impegnativa (non per lui ma per me) e fu così che dopo una sveglia antelucana mi ritrovai ad attaccare una parete nord a quasi 3000m in pieno inverno, era la bella goulotte Grassi-Tessera al Monte Ferra. Di quel giorno ricordo perfettamente il sonoro cazziatone che mi beccai da Marco per aver costruito la prima sosta attaccandomi al maillon anziché allo spit. “Ma tu lo sai quanto tiene quel maillon?? Potrebbe essere uno da ferramenta che tiene 100kg!” Non lo conoscevo ancora ma aveva ragione anche se mi scocciava essermi fatto la figura alla prima gita insieme. Lì ho capito subito che sulla sicurezza non lesinava e le successive gite insieme me lo hanno confermato.

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Andare in montagna con lui significava essere in una botte di ferro ed essere sicuri di minimizzare ogni rischio, se la relazione diceva di portarsi una serie di friend lui ne portava due, preferiva sempre abbondare su cibo e materiale per essere pronto a ogni imprevisto. Un mio amico che era andato a scalare con lui mi ha raccontato che in discesa dal Monte Bianco dovevano attraversare al pomeriggio il Grand Couloir e siccome scaricava, Marco insistette per bivaccare e aspettare il rigelo del mattino dopo pur di non correre rischi. Chi va in montagna sa quanto è difficile prendere una scelta del genere e quanto può spaventare un bivacco, questo fa capire quanto era prudente. Come ho letto in un altro articolo, quando diventava troppo tardi Marco “ingranava le ridotte” e si era sicuri di tornare a casa in sicurezza e senza correre, con la sua frase tipica “tanto più buio di così non può diventare”.

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Una volta eravamo diretti alla Bonatti al Pilastro Rosso del Brouillard e siccome non era tanto sicuro dello stato del ghiacciaio e delle terminali aveva deciso saggiamente di andare in 3 e si era portato da solo, fino all’attacco del pilastro, una statica da 60 metri -pesantissima- da fissare per la calata dal bivacco Eccles al bacino del Brouillard, nel caso in cui la terminale troppo aperta ci avesse dato problemi al ritorno. Facemmo la salita fino in cima e ovviamente al ritorno era tutto perfettamente chiuso e la statica si era solo fatta un bel giro in montagna. Ho sempre ammirato la sua costanza e caparbietà, come ad esempio quell’anno in cui facemmo il Pilastro Rosso lui andò tutti i 3 o 4 weekend successivi (non ricordo il numero preciso) al Monzino per salire altre vie sul Pilastro e infine il Pilone Centrale!

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Un altro bel ricordo è quando Marco mi fece scoprire la mitica parete dell’Ancesieu in val Soana, parete che incute un certo timore e dove la via più facile è già un buon banco di prova essendo chiodata lunga in placca e senza nulla nei tiri in fessura. Ricordo ancora che quel giorno mi teleguidava sui tiri più difficili dicendomi dove passare e quali friend mettere, io infatti ero più forte tecnicamente ma meno avvezzo alla scalata su un terreno del genere quindi si era creato l’equilibrio nella cordata in cui lui metteva l’esperienza di anni di alpinismo ad alto livello e io la forza di un 19enne che voleva solo scalare e scoprire i suoi limiti.

Un inverno eravamo su una goulotte sulla nord delle Petites Jorasses e per calarci ricordo ancora la maestria di Marco nel costruire soste stile art attack che a guardarle sembravano un Picasso ma che alla fine erano super sicure. In quell’occasione mi ha insegnato sul campo a fare gli abalakov, di sicuro è molto diverso dall’impararlo a terra.

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Un simpatico aneddoto è quando andammo in Dolomiti per arrampicare e dopo il viaggio di andata ci prendemmo una pizza nella lussuosa San Cassiano, io per povertà presi una margherita mentre lui una pizza coi porcini e prosciutto crudo (da mettere dopo cottura come specificava sempre), il risultato fu che passò la notte sveglio a contorcersi dal mal di pancia e la mattina dopo aver vomitato diverse volte e pallido in faccia anziché attaccare la via ci presentammo all’ingresso del Pronto Soccorso, la diagnosi fu intossicazione da funghi. Il viaggio di ritorno fu un po’ giù di morale per me e un calvario per Marco che quasi svenne durante una pausa all’autogrill con i gestori che volevano chiamare l’ambulanza. Tornammo a Torino e mi disse che gli ci vollero diverse settimane prima di recuperare l’appetito e la forma di prima.
Inutile parlare del suo enorme curriculum, era sempre difficile proporgli delle gite perché le aveva fatte tutte, anche quelle più remote, infatti di solito era lui che proponeva le gite su montagne che magari non avevo mai neanche sentito.
Durante la sua partecipazione alle attività della Scuola si poteva riconoscere che oltre alla montagna una sua grande passione (e lavoro) era l’insegnamento. Ricordo le lezioni teoriche sulla catena di sicurezza che di solito teneva lui, erano il connubio perfetto tra le sue passioni per la montagna e per l’accademia e infatti si poteva notare la sua abilità nel parlare in pubblico e intrattenere gli allievi con nozioni di alpinismo e fisica.

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Vorrei infine ringraziare Marco per avermi preso sottobraccio durante l’inizio della mia carriera alpinistica insegnandomi una marea di cose, con lui ho iniziato a fare i “Salitoni” come li chiamava lui, ovvero salite molto impegnative in alta montagna, quelle dove si mette la sveglia a mezzanotte (si può ancora considerare sveglia??) e si è quasi certi di essere in ballo per 24h di fila, tornando a casa distrutti ma felici.

Fabio Ventre

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